La nostra intervista alla vincitrice della seconda edizione del Premio Campiello Natura, nato dalla collaborazione tra Fondazione Il Campiello e Venice Gardens Foundation, presieduta da Adele Re Rebaudengo.
Mi sono ispirata a due grandissimi romanzi, La mia Africa di Karen Blixen e Ebano di Ryszard Kapuscinski, perché in entrambi i casi trasmettevano emozione accanto a informazioni vere, precise, che erano nel loro insieme il resoconto della vita in quelle terre lontane…
Emanuela Evangelista è la vincitrice della seconda edizione del Premio Campiello Natura con il libro Amazzonia. Una vita nel cuore della foresta, edito da Laterza. Il Premio, nato dalla collaborazione tra Fondazione Il Campiello e Venice Gardens Foundation, presieduta da Adele Re Rebaudengo, è un importante riconoscimento alla letteratura legata alle tematiche ambientali, a quelle opere che esprimono un dialogo profondo e rispettoso con la natura, in cui vengono trattati temi cruciali come la tutela della biodiversità e la sostenibilità ambientale, argomenti di fondamentale importanza in un’epoca in cui l’ambiente è gravemente minacciato. Biologa e attivista ambientale, Emanuela Evangelista da quasi venticinque anni svolge la sua attività di ricerca in Amazzonia, dove si è trasferita a vivere stabilmente dal 2013, precisamente a Xixuaú, villaggio di palafitte nel cuore della foresta. Nel suo libro racconta la vita nella foresta amazzonica, luogo bellissimo e fragile, vulnerabile e cruciale per gli equilibri del Pianeta, dove si trova la più alta concentrazione di forme di vita della terra, esplorandone non solo la biodiversità, i corsi d’acqua, le piante, la vita delle popolazioni indigene, ma anche le sfide quotidiane e tutti i pericoli che la minacciano come la deforestazione, la siccità, le speculazioni, il bracconaggio, il degrado, il surriscaldamento globale. Amazzonia. Una vita nel cuore della foresta è un invito a un impegno concreto per la salvaguardia del polmone verde del Brasile, per la sua conservazione, per il rispetto delle biodiversità, un invito a sperimentare una maniera più sostenibile di vivere in piena armonia con la natura. La Giuria dei Letterati del Premio Campiello ha motivato la sua scelta con la seguente dichiarazione: «Il libro di Emanuela Evangelista è un’appassionante e documentata testimonianza dello stato presente della più grande foresta del mondo: un polmone o un cuore che con il suo respiro o con la sua pulsazione alimenta tutto il pianeta (anzi, il bioma) e che tutto il pianeta ha la responsabilità di sottrarre alla catastrofe cui oggi è esposto. Il pericolo della deforestazione e dell’uso irresponsabile delle risorse naturali sono denunciati in questo libro con l’obiettività della scienziata e con la passione dell’attivista, che dà la parola non solo ai dati misurabili ma anche all’autocoscienza, sempre maggiore negli ultimi anni, delle genti che abitano queste terre, in un reportage che merita di essere letto e meditato».
Il 21 settembre a Venezia riceverà da Adele Re Rebaudengo, Presidente della Venice Gardens Foundation, il Premio Campiello Natura. Qual è stato il suo primo pensiero quando le hanno annunciato la vittoria?
È stato un pensiero di gratitudine, di soddisfazione e devo dire anche di grande allegria pensando che questo lavoro potrà rafforzare il messaggio che desideravo trasmettere. Questo Premio così importante potrà amplificarlo e farlo arrivare lontano.
Da più di dieci anni vive in un villaggio nel cuore dell’Amazzonia: cosa l’ha portata là e come si è integrata con la popolazione locale? Come si svolge la sua vita in luogo così remoto e straordinario, qual è la percezione del tempo?
All’inizio, venticinque anni fa, sono andata in Brasile per svolgere una ricerca scientifica particolare. Stavo studiando una specie di mammifero acquatico che vive là, la lontra gigante, i locali la chiamano “lupo del fiume”, e in effetti come i lupi vive in branchi. Negli anni questa specie è stata oggetto di una caccia feroce per farne pellicce. Moltissimi esemplari sono stati sterminati, i sopravvissuti si sono rintanati nelle zone più remote, così anch’io mi sono inoltrata nel cuore della foresta. Più avanti il mio interesse si è spostato altrove, o meglio, si è ampliato. Ho il privilegio di vivere l’Amazzonia ancora integra. Sono stata accolta benissimo, sono molto legata a questi luoghi e ho rapporti di amicizia con la popolazione locale. Vivo in una palafitta, la vita inizia procacciandosi il cibo. L’alimentazione naturalmente è una parte essenziale della vita e lì si basa su caccia e pesca, gli abitanti della zona non sono infatti coltivatori. La vita si svolge seguendo i ritmi naturali, tutto è scandito dal ciclo del giorno e da quello della notte, dodici ore di luce e dodici ore di buio. Parallelamente è fondamentale il ritmo delle stagioni, soprattutto di quelle idrologiche. Il livello dei fiumi non è stabile mai, salgono e scendono di dieci metri trasformando il paesaggio. Si passa dalla stagione dell’acqua alta alla stagione della siccità, il che influenza tutte le attività, la sopravvivenza stessa. Vi è una stagione in cui si raccolgono le noci, una in cui si pesca e così via, bisogna rispettare e assecondare questi ritmi.
Ci racconti la foresta: perché la conservazione delle sue risorse, della sua biodiversità sono così fondamentali per la salvaguardia dell’intero Pianeta?
Prima di tutto devo precisare che questa foresta, questa regione – il termine esatto è bioma – è enorme, è grande una volta e mezza l’Unione Europea, parliamo quindi di un’estensione gigantesca, dove è inevitabile esistano tante realtà diverse. Io vivo nell’Amazzonia “intatta”, l’Amazzonia forestale, che è natura, acqua, foresta, dove è veramente ancora tutto intatto e vi è una grande biodiversità. Poi all’interno della foresta esistono realtà molto meno romantiche dove la terra è sotto pressione, bruciata, deforestata. Non dobbiamo mai dimenticare che la Foresta è indispensabile per la sopravvivenza del Pianeta perché in primis consente di mantenere la temperatura globale a un livello accettabile per la nostra specie. Inoltre l’Amazzonia regola tantissimi altri equilibri del Pianeta, come ad esempio le piogge nell’America del Sud. In Brasile, infatti, le città di San Paolo e di Rio de Janeiro si trovano a una latitudine per cui dovrebbero essere zone desertiche; se non lo sono è solo grazie all’influsso della Foresta. Tutta la parte dell’Amazzonia sotto pressione sta raggiungendo un “punto di non ritorno”. Sarà un disastro, da foresta tropicale potrà trasformarsi in zona arida, il che renderebbe vana tutta la nostra lotta al riscaldamento globale. Ragion per cui la salvaguardia dell’Amazzonia è conditio sine qua non per preservare gli equilibri del nostro Pianeta.
Da attivista impegnata, ma soprattutto da studiosa, affidandosi al suo rigore scientifico quanto considera davvero in pericolo il mondo e qual è la sfida più grande che dobbiamo affrontare per il futuro?
A riguardo le ho appena risposto: indubbiamente è il riscaldamento globale. Io comunque sono ancora ottimista, perché tante soluzioni le abbiamo già in mano ma siamo molto lenti nell’applicarle. Senza voler in alcun modo spaventare nessuno, il rischio di estinzione per l’uomo non è poi del tutto da escludere; è molto più facile che sopravvivano altre specie.
La passione per la scrittura quando è arrivata? Quali le sue ispirazioni?
La passione per la scrittura per me era una specie di sogno nel cassetto. Questo è il mio primo libro. Sono stata un’adolescente che teneva il diario, poi mi sono misurata con la rendicontazione scientifica, infine ho iniziato a scrivere qualche articolo, quando i giornali italiani mi chiedevano reportage dall’Amazzonia. Questa è la prima volta che mi dedico ad un libro. Non ho dei veri e propri modelli, però, ripensando ai miei venticinque anni in Amazzonia, posso dire di essermi ispirata a due grandissimi romanzi: La mia Africa di Karen Blixen e Ebano di Ryszard Kapuscinski, perché in entrambi i casi trasmettevano emozione accanto a informazioni vere, precise, che erano nel loro insieme il resoconto della vita in quelle terre lontane. Quindi per me l’idea era la stessa, ossia raccontare l’Amazzonia, la sua gente, i suoi problemi; volevo raccontare i fatti, certo, ma anche tutte le emozioni che questa Foresta mi fa vivere, il mio amore per questa terra insomma.
Questa vittoria al Campiello Natura sarà utile per sensibilizzare le persone ai problemi dell’ambiente?
Sinceramente non lo so, è il mio primo libro, la mia prima esperienza in questo campo. Ovviamente mi auguro che davvero possa amplificare il messaggio che voglio trasmettere con il mio lavoro di ricercatrice. Spero quindi che il Campiello Natura riesca a sensibilizzare quante più persone possibile verso questi temi fondamentali: bisogna avere la percezione esatta di quanto l’Amazzonia sia importante per l’umanità. Le ripercussioni climatiche su questi luoghi che paiono lontanissimi ci interessano da vicino, coinvolgono tutti.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Rimango in Italia solo per il Premio, poi torno subito in Amazzonia. Al momento sto lavorando su due fronti: un’Amazzonia intatta e una che soffre, in grande stress, quindi da una parte operiamo per farla rimanere tale, per preservarla dai tanti pericoli che incombono sul suo futuro, in particolare dalle speculazioni, dall’altra parte, in quella deforestata, ci attiviamo invece per restaurarla, per piantare nuovi alberi. Il comune denominatore è che offriamo lavoro agli abitanti di queste terre, dove c’è purtroppo una grande povertà e uno dei nostri obiettivi principali è proprio la lotta alla povertà, offrendo lavoro e reddito alle popolazioni locali.