Il Nono risorto, nei ricordi

Memorie dalla prima esecuzione del Prometeo
di Fabio Marzari

È facile cadere nella trappola della nostalgia e un po’ anche nello sgomento, specie rendendomi conto che si parla di qualcosa avvenuto quasi 40 anni fa, e io allora c’ero, tra il pubblico nella chiesa sconsacrata, ad ascoltarlo.

Il ricordo indelebile rimane quello vissuto all’ingresso, in un luminoso tardo pomeriggio di fine estate, in cui le regole del teatro tradizionale erano state sconvolte dall’ambientazione scelta da Renzo Piano

25 settembre 1984, Venezia, Chiesa di San Lorenzo. Prima esecuzione assoluta del Prometeo di Luigi Nono, diretto da Claudio Abbado. È facile cadere nella trappola della nostalgia e un po’ anche nello sgomento, specie rendendomi conto che si parla di qualcosa avvenuto quasi 40 anni fa e io allora c’ero tra il pubblico nella chiesa sconsacrata ad ascoltarlo. Ero un ragazzetto e mi stavo avvicinando alla musica, quella seria, in un periodo come quello, caratterizzato in città da una vastissima produzione culturale; capitava usualmente in Fenice di ascoltare i maggiori interpreti della scena mondiale, impegnati nelle opere del repertorio classico o in concerti sinfonici.

Ero consapevole che non sarebbe stato facilissimo accedere a quel mondo musicale per iniziati, con i testi del giovane filosofo, già al tempo barbuto, Massimo Cacciari…

Per uno studente del Ginnasio come me rappresentava un’incredibile emozione poter vivere una stagione così intensa di ascolti e, lo ammetto, frequentare abitualmente il teatro d’opera e quello di prosa era motivo di orgoglio o, come si direbbe ora, ‘di tirarsela’ un po’. Quell’invito giunto per la prima assoluta di Prometeo a San Lorenzo, una chiesa rimasta chiusa per molto tempo dove non ero mai entrato, e l’ascolto di un’opera di musica contemporanea, rappresentava un’occasione da non lasciarsi in alcun modo sfuggire. Ero consapevole che non sarebbe stato facilissimo accedere a quel mondo musicale per iniziati, con i testi del giovane filosofo già al tempo barbuto, Massimo Cacciari, la cui fama era per me legata al fatto di essere figlio del pediatra di quando ero bambino, una distanza allora ancora temporalmente misurabile non in ere geologiche, come invece sarebbe oggi.

Venne quindi il giorno in cui, accompagnato da zia Lidia, per me una seconda adorabile mamma, che amava Venezia sopra ogni cosa, varcammo la soglia della chiesa. Il ricordo indelebile rimane quello vissuto all’ingresso, in un luminoso tardo pomeriggio di fine estate, in cui le regole del teatro tradizionale erano state sconvolte dall’ambientazione scelta da Renzo Piano nel creare una gigantesca cassa armonica in cui a differenti livelli si trovavano il pubblico e gli interpreti, distribuiti in più punti per avvolgere col suono l’intera struttura lignea di contenimento. Un movimento sonoro che fisicamente si snodava da più parti e già ancor prima dell’inizio l’impressione netta fu quella di trovarsi spettatori di qualcosa di fortemente innovativo e completamente differente rispetto alle nostre abitudini.

Blufferei affermando di essere stato immediatamente folgorato dall’ascolto, ero piuttosto incuriosito da tanto ardimento e da suoni non di presa immediata, così difformi da quelle armonie cui i miei giovani padiglioni auricolari erano avvezzi.

E poi il geniale Maestro Abbado alla direzione, già preceduto da chiara fama, e un pubblico diverso, internazionale e molto attento e felice di assistere al nuovo lavoro di Luigi Nono. Blufferei affermando di essere stato immediatamente folgorato dall’ascolto, ero piuttosto incuriosito da tanto ardimento e da suoni non di presa immediata, così difformi da quelle armonie cui i miei giovani padiglioni auricolari erano avvezzi. Tuttavia ne uscii molto felice per la condivisione collettiva con un pubblico autorevole e infinitamente più consapevole di me rispetto alla “tragedia dell’ascolto”, che offriva spunti di riflessione e di scoperta in grado però di modificare le mie instabili certezze da ragazzo in via di apprendimento. Non ricordo male parole di zia Lidia contro di me per averla portata/costretta a sentire Prometeo, non ebbi mai modo di sapere se per affetto o per altro.

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