Parole: Memoria

Una riflessione nel Giorno della Memoria
di Renato Jona

Dall’articolo 2 della Legge della Memoria: «In occasione del “Giorno della Memoria” sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione».

Nel gennaio 2023 l’Ateneo Veneto ha presentato un libro molto interessante e importante del noto giornalista Aldo Cazzullo. Il titolo del libro è assai stimolante: Mussolini il Capobanda – Perché dovremmo vergognarci del fascismo. Già l’uso del condizionale dà l’occasione all’Autore di approfondire e discutere un tema fondamentale, certamente controverso, che troppo spesso vediamo trattato in modo frammentario, non organico, parziale o semplicemente superficiale. Cazzullo, giornalista brillante, serio, dalle idee chiare e dai ragionamenti elementari e logici, dotato di una penna facile, mai ambigua, usa sempre una prosa piana, molto comprensibile. Anche questa volta ci ha offerto un’analisi ineccepibile di un tema sempre più delicato, mano a mano che ci si allontana dagli avvenimenti (che taluno tende, forse perché interessato, a rendere controverso). Dalle osservazioni enunciate da vari oratori presenti, molto valenti, è emersa questa osservazione, a tutta prima inaspettata: «Con il fascismo abbiamo fatti i conti!». Viceversa, è stato subito aggiunto: «Non li abbiamo fatti con il fatto di essere stati fascisti e di averlo pure esportato!». Questa riflessione iniziale, molto chiara, che in effetti colpisce, ha stimolato vari approfondimenti. Uno di questi, semplice, mi è parso interessante e fondamentale per interpretare un modo di sentire oggi assai diffuso: fino al 1938 la sensazione, che è stata tramandata, è che il fascismo avesse voluto innovare e in questo ambito abbia fatto “anche cose buone”, poi sia incappato in due “incidenti di percorso”: le leggi razziali e l’alleanza con i nazisti. Questo modo singolare e auto-assolutorio di impostare la storia dell’epoca, raccontandola in questo modo “astigmatico”, direbbe un ottico, è assolutamente sbagliato, falso e scorretto; tuttavia, in effetti, non è raro incontrarlo in molti enunciati, in svariati scritti di un certo numero di persone (politicamente interessate?) e anche nel modo di sentire di certe persone superficiali, che si fidano del “sentito dire”, senza approfondire, senza risalire ai fatti come realmente sono accaduti.

«Il fascismo non ritornerà», ha osservato molto acutamente la Presidente dell’Ateneo, Antonella Magaraggia, introducendo l’argomento e stimolando le interessanti discussioni che ne sono seguite, proseguendo: «ma ogni qualvolta la libertà, l’uguaglianza, la democrazia e i diritti civili vengono negati o anche soltanto messi in discussione, non significa che il fascismo stia ritornando, ma significa che le idee che il fascismo sostenne e impose con la forza non sono morte e noi dobbiamo combatterle!». È perciò indispensabile non dimenticare! E qui la successiva parte dei ragionamenti fatti in quella circostanza, ha portato avanti l’argomento. È stato notato, cosa molto grave, che la storia del Novecento nelle scuole superiori non è stata affrontata adeguatamente. Bisogna prendere praticamente atto che i giovani, non per colpa loro, non possono ricordare ciò che non hanno vissuto direttamente o conosciuto per averlo studiato seriamente. Non è stato loro insegnato in modo organico durante il percorso degli studi. Qualcuno, veramente preoccupato, ha anche suggerito che bisogna imporre la memoria alle nuove generazioni (e, dalla fine del fascismo a oggi, teniamone conto, se ne annoverano più di una!). Esistono poi anche, non scordiamolo, professionisti di comodo per creare una nuova storia al posto di quella realmente accaduta.

In questa sede mi limito a ricordare il fenomeno, ma non desidero parlarne. Facendo qualche passo indietro, dobbiamo rilevare che negli ultimi decenni del secolo scorso, questo disagio, questo “vuoto culturale” veniva avvertito e sofferto in maniera sempre più pressante. Soltanto per fare un esempio, mi è caro ricordare quanto ha scritto Piero dello Strologo, persona di grande intelligenza, sensibilità e cultura, nel novembre del 1993, in occasione del cinquantennale della deportazione degli Ebrei genovesi: «Con il tempo la memoria diventa storia, la storia diventa sempre più asettica e la memoria sempre più dolorosa. Ma è anche il tempo in cui questa identità, in passato sofferta e tradita, spesso offesa, reclami partecipazione e offra a tutti la sua concezione etica della vita». Questa è una tra le tante segnalazioni allo Stato di un’esigenza morale e pratica di provvedere a stimolare e regolare la necessità della Memoria. E finalmente, all’inizio del XXI secolo il legislatore ha recepito la pressante esigenza di ricordare il vergognoso passato italiano, “l’incidente di percorso” delle leggi razziali: oggi se ne ricorda il nome, ma non tutti sarebbero in grado di inquadrarne il vero significato, né il vergognoso sviluppo. Non conoscono l’abbietta progressione del disprezzo e dei divieti. Sono iniziate isolando gli ebrei italiani, hanno fatto leva sull’argomento della razza inferiore stabilita per legge, dopo una battente campagna denigratoria e preparatoria, progressivamente li hanno privati di ogni diritto; le leggi hanno impedito loro di esercitare professioni, mestieri, impieghi, di frequentare scuole e via via le restrizioni diventavano sempre più intense e capillari, estendendo i divieti ai diritti minimi, essenziali per ogni cittadino. Le condizioni di vita erano diventate impossibili.

Nel 1943 lo Stato addirittura li ha considerati nemici della patria, quindi passibili di arresto, internamento e addirittura di morte. E assieme alle leggi progressivamente restrittive sono state emanate circolari applicative feroci, nei confronti di questi cittadini, rei soltanto di essere nati ebrei. Non va dimenticato che analogo trattamento mirava a colpire anche tutti coloro che si sono opposti al progetto di sterminio, dando coraggiosamente rifugio agli ebrei. Inoltre va ricordato che anche 800.000 soldati italiani furono deportati nei campi di concentramento e di loro, ben eroicamente 600.000 rifiutarono dignitosamente una condizione di vita più umana, pur di non collaborare con i nazisti, alleati del fascismo. Anche oltre 2000 Carabinieri subirono analogo trattamento per restare fedeli al loro codice d’onore.

La Legge che finalmente lo Stato Italiano ha emanato nel luglio del 2000 (n. 211), detta “Legge della Memoria”, è costituita da un testo breve ed efficace: consiste in 2 soli articoli, chiari, semplici, che richiedono momenti di seria riflessione, di narrazione dei fatti, soprattutto da effettuare nelle scuole (di ogni ordine e grado), con il duplice scopo di conservare la memoria di quanto è accaduto nella storia italiana e di evitare che simili ingiustizie e vergogne abbiano la possibilità di ripetersi in futuro, che simili tradimenti statali non possano trovare mai più spazio. “Mai più”, conclude il testo di legge. Ma per applicare la legge non ci si deve limitare a ricordare, occorre agire, occorre che le persone anziane, ancora vive, sentano l’obbligo di raccontare, di far conoscere gli eventi, di trasmettere le loro esperienze. Non solo, occorre che facciano percepire l’atmosfera che si respirava sotto il regime fascista, considerata oggi inimmaginabile e assurda. D’altro canto i giovani devono interessarsi, prendere coscienza che è loro diritto sapere, informarsi e non devono adagiarsi sulle distrazioni più invitanti che l’attuale vita offre. Aldo Cazzullo, durante la presentazione del libro, ha fatto osservare che tra lo straripante pubblico accorso ad ascoltare la presentazione del suo libro, non era presente alcun studente. Forse, perciò, l’affermazione, suggerita, che è necessario “imporre” la memoria di ciò che è stato dal 1938 al 1945, sotto gli occhi di tutti, di tanti indifferenti, non è erronea, non è fuori luogo, va utilizzata nelle giuste forme. È uno sforzo che dobbiamo compiere tutti. Altrimenti la parola della legge resterà lettera morta, rimarrà soltanto una buona intenzione, un pio desiderio. Non abbiamo molto tempo davanti. Non lasciamoci distrarre da cose meno importanti e più attraenti del dovere. La memoria non deve essere un ricordo lontano, flebile, ma un’azione attenta, dinamica che si muove e va verso il futuro. E non dimentichiamo che il capitolo non è mai chiuso.

Come ci ha ammonito Primo Levi: «È accaduto, quindi può accadere di nuovo!».

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