Pensieri di un pittore di storie

Dino Buzzati, la scrittura e l’arte
di Elisabetta Gardin

Sono trascorsi cinquant’anni dalla morte di Dino Buzzati, una delle figure più alte nel panorama culturale del Novecento italiano.

Talento poliedrico, scrittore, drammaturgo, poeta, giornalista e persino pittore, ispirandosi al mito di Orfeo e Euridice realizzò la prima graphic novel pubblicata in Italia, così diceva di sé «che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie». Autore ingiustamente oggi un po’ dimenticato, vincitore del Premio Strega nel 1958, viene spesso accostato a Kafka. Con Calvino è considerato il maestro del “realismo magico” e del fantastico. Ci ha lasciato una grandissima eredità e andrebbe riscoperto dai giovani e dai bambini, a cui ha dedicato bellissimi racconti. Proveniva da una ricca famiglia alto borghese, profondamente cattolica. Era nato nella antica villa di San Pellegrino, a due chilometri da Belluno, dove trascorse poi tutte le estati. Ricevette un’educazione molto rigida; fin da piccolo amava leggere e fu sempre uno studente molto brillante, creativo. Studiò al Liceo Parini a Milano, per laurearsi poi in Legge. A 56 anni sposò la giovane modella Almerina Antoniazzi, che dopo la morte del marito divenne custode attenta, capace e generosa di tutte le sue opere. Esperto scalatore amò tantissimo la montagna, soprattutto le ‘sue’ Dolomiti. Altra sua grande passione fu la pittura. Sempre elegante, dai modi raffinati, schivo, molto riservato; si definiva “timido”, certo era un uomo di poche parole, dai lunghi silenzi. Non amava la mondanità, ma forse quell’aspetto così severo, taciturno, celava umorismo, autoironia e anche un’inquietudine diffusa che non gli dava pace. Era entrato poco più che ventenne al «Corriere della Sera»: ci rimase per quarant’anni. Dal 1950 al 1963 fu anche vicedirettore della «Domenica del Corriere».

Definiva il giornalismo “meraviglioso mestiere”, il suo settore preferito era la cronaca nera. Probabilmente sono state le tante ore trascorse in redazione, le pause, il vuoto in attesa della grande occasione che non arrivava, a suggerirgli il Deserto dei Tartari, uno dei più significativi romanzi italiani del Novecento. L’opera di Buzzati è infatti sempre alimentata e ispirata dalle sue vicende personali: impossibile separare l’uomo dall’artista, la sua complessa personalità e le esperienze vissute affiorano in tutti i suoi lavori. La sua arte era intrisa dalla storia della sua vita; ad esempio il romanzo Un amore è lo specchio del suo tormentato legame sentimentale, così come Il reggimento parte all’alba parla della sua malattia, della morte che stava sopraggiungendo e che non gli avrebbe permesso di terminare il libro, pubblicato postumo. Il suo esordio come romanziere è del 1933 con Bàrnabo delle montagne e due anni dopo pubblicherà Il segreto del Bosco Vecchio. Entrambi i romanzi sono diventati film, il primo con la regia di Mario Brenta e il secondo firmato da Ermanno Olmi. Anche la sua opera più famosa, Il deserto dei Tartari, vedrà una trasposizione cinematografica diretta da Valerio Zurlini con un cast stellare: Max von Sydow, Vittorio Gassman, Giuliano Gemma, Fernando Rey. Questo adattamento cinematografico era un progetto a cui Buzzati teneva moltissimo, ma purtroppo morì prima che l’opera fosse completata. Il romanzo s’incentra sul protagonista, il tenente Drogo, ed è la metafora di un’esistenza incompiuta, oppressa da un’attesa logorante, carica di angoscia e insoddisfazione. Il giornalista Lorenzo Viganò ha da poco pubblicato per Mondadori Buzzati. Album di una vita tra immagini e parole, in cui racconta la vita e le opere dello scrittore bellunese attraverso documenti, foto, lettere, pagine di diario. Abbiamo chiesto al Sindaco di Belluno, Oscar De Pellegrin, cosa rappresenta Dino Buzzati per la sua città: «Buzzati incarna l’anima più autentica del bellunese, inteso come territorio e come spirito. Schivo, silenzioso, riflessivo, amante della montagna e delle lunghe escursioni, lo scrittore, pur essendo vissuto per gran parte della sua vita a Milano, aveva in sé i caratteri della nostra terra, a tratti aspra ma generosa e capace di sorprendere. E a Belluno d’altra parte, lo sappiamo, ha trascorso molte estati, qui aveva la casa di famiglia e amici. Buzzati era così, un bravissimo scrittore di rara sensibilità ma che ha fatto poco parlare di sé. Ha pubblicato i suoi libri senza clamore e fino a qualche anno fa in molti non sapevano della sua ottima vena artistica, delle sue opere pittoriche».

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