Anche in Veneto oltre trenta realtà rispondono alla chiamata di Paolini. Al Teatro Goldoni, il 9 ottobre, un cast d’eccezione diretto da Sandra Mangini e capitanato da Ottavia Piccolo, Eleonora Fuser e Carlo & Giorgio, insieme agli allievi dell’Accademia Carlo Goldoni, porta in scena un proprio originale VajontS.
VajontS 23, con la “S”, al plurale. Nel 60esimo anniversario dalla tragedia, Il Racconto del Vajont di Marco Paolini si fa azione civile e corale, coinvolgendo 137 teatri e 600 tra piazze, scuole, chiese, biblioteche e associazioni in tutta Italia, a Parigi a Edimburgo e a Ginevra per commemorare, in simultanea la sera del 9 ottobre, una delle più gravi catastrofi che hanno colpito il Paese, ‘armandoci’ perchè non possa più accadere in futuro.
Nei mesi scorsi Paolini ha chiamato a raccolta il teatro italiano: «I terremoti non sono ancora prevedibili, le alluvioni lo sono di più, così come la siccità. Il territorio italiano è antropicamente denso come un formicaio operoso e insaziabile. Mangiamo terra, consumiamo suolo e buona parte di quel suolo è a rischio idrogeologico. A ogni catastrofe sentiamo ripetere parole che non servono a impedirne altre. Noi non siamo scienziati, né ingegneri, né giudici. Ma sappiamo che il racconto attiva l’algoritmo più potente della nostra specie: i sentimenti, le emozioni. Leve che lasciano segni durevoli, leve che avvicinano chi è lontano. Sono la colla di un corpo sociale e ora ci servono per affrontare quel che ci aspetta. Non è difficile immaginare che ci saranno altre emergenze. E allora accanto alla Protezione Civile, ci serve una Prevenzione Civile. Un evento corale può dare sentimento al coraggio di affrontare la sfida delle conseguenze del riscaldamento climatico. Può dare sentimento alla ragione e alla saggezza di scegliere gli interventi da fare in base a un principio di tutela della vita, della salute, del bene comune, di riduzione del rischio».
La storia del Vajont riscritta e riascoltata oggi, 25 anni dopo il racconto televisivo, non è più un racconto di memoria e di denuncia sociale, ma parla del presente, di noi e del nostro futuro, mostrandoci le possibili gravissime conseguenze di un rischio affrontato solo confidando sul calcolo dell’ipotesi meno pericolosa tra le tante scartate non perché impossibili, ma perché inconcepibili.
Con la collaborazione di Marco Martinelli, Paolini ha smesso i panni del monologhista e trasformato quel Vajont, creato con passione e ardore per la Rai nel 1997, in un canovaccio, per lasciar libera ogni compagnia e ogni interprete di dare la propria versione, di fare suo il racconto, portandolo nel territorio che abita, mutandolo a seconda delle diverse specificità in un enorme, eterogeneo coro, per riflettere sugli errori più che sulle colpe e ragionare sulla complessità delle storie di tutto il nostro Paese.
Ha raccolto con entusiasmo l’invito anche il Teatro Stabile Veneto che si unisce agli oltre trenta teatri e realtà partecipanti della Regione con due messe in scena, al Goldoni a Venezia e al Verdi a Padova. Al Teatro Goldoni è Sandra Mangini a coordinare un cast di primo piano composto da Ottavia Piccolo, Carlo & Giorgio, Maria Roveran, Gianmarco Busetto, Eleonora Fuser, Luciano Roman, Giacomo Rossetto, Anna Tringali, mentre a Padova Giuliana Musso cura la messa in scena con nomi del panorama veneto quali Angelica Leo, Maria Grazia Mandruzzato, Gianluigi Meggiorin, Martina Pittarello, Diego Ribon, Stefano Scandaletti, Sandra Toffolatti e l’introduzione di Telmo Pievani. In entrambi gli spettacoli sono protagonisti gli allievi e le allieve del secondo anno dell’Accademia Carlo Goldoni, che fanno da ‘coro’ a questa tragedia moderna; un coro che in qualche modo ha già elaborato e ‘digerito’ la storia per questioni anagrafiche e perciò mantiene uno sguardo più preciso e attento sul proprio presente e futuro. Alla nuova generazione spetta il compito di raccogliere con decisione il testimone, di sintetizzare, tirare le fila del discorso e rilanciarlo al pubblico, ponendo interrogativi, esigendo un momento di dovuta riflessione.
Non possediamo sfere di cristallo o particolari poteri sensoriali che ci permettano di prevedere il futuro, ma siamo ben consapevoli della direzione in cui stiamo andando. Quanti sono dal 1963 a oggi gli incidenti che si sarebbero potuti evitare e le catastrofi i cui danni sarebbero stati mitigati grazie a misure di prevenzione più efficaci, una pianificazione urbana migliorata e una maggiore attenzione alla sicurezza e alla manutenzione? Nella mappa del Paese sono tanti, troppi, i punti che si accendono a questa domanda, dalle alluvioni del ‘66 a Firenze e a Venezia e in Veneto, e qui poi di nuovo nel 2010, le esondazioni del Po e del Tanaro nel 1994, la frana del Sarno del 1998, il crollo del Ponte Morandi nel 2018, gli incendi del Carso e la valanga della Marmolada dello scorso anno, l’alluvione in Emilia-Romagna quest’anno e ancora, nostro malgrado, siamo costretti a registrare nuovi, tragici casi, come la fin troppo recente strage del bus di Mestre, dove – forse, anche se è un bel forse – una più puntuale manutenzione del tratto stradale avrebbe potuto fare la differenza.
Nel Vajonts 23 versione Venezia, Sandra Mangini ha ‘cucito’ il testo addosso ad ogni interprete, permettendogli di parlare con la propria voce, e trovando al contempo un filo conduttore che li unisse rispettando le corde emotive di ciascuno. Alle 22.39, l’ora in cui il Monte Toc franò nel lago artificiale, tutti i palcoscenici in contemporanea si fermeranno per ricordare le oltre 2000 vite perdute nel disastro, mentre risuoneranno grazie ad un collegamento nei teatri e nelle diverse location i rintocchi della campana di Longarone.
Come detto, non si tratta di restare impantanati nella memoria, che in ogni caso resta insieme all’esperienza uno degli strumenti di prevenzione più preziosi che possediamo, ma soprattutto di rispondere a una chiamata collettiva alla coscienza civile, alla consapevolezza. Siamo chiamati ad agire e intervenire, anche iniziando a chiederci come.
Immagine in evidenza: Marco Paolini © Marco Caselli Nirmal