Il film racconta la storia di Charlie, un professore d’inglese che soffre di grave obesità e vive recluso in casa tenendo corsi universitari di scrittura online. Charlie ha p...
Difficile immaginare uno scenario più americano di quello che fa da sfondo alla pièce teatrale di Samuel D. Hunter, The Whale, con la lezione di David Foster Wallace – penso al suo Brevi interviste con uomini schifosi – completamente digerita. Partiamo dai personaggi in scena: Charlie, il protagonista – 600 libbre di peso, quindi una “obesità mostruosa”, come verrà definita dalla figlia – tiene corsi di scrittura online. È stato sposato, ma ha vissuto in passato con un compagno che si è suicidato e a questo attribuisce il suo essersi lasciato andare, così come il suo partner si era perso a sua volta in una totale anoressia. Poi c’è la figlia Ellie, una scatenata adolescente tutta protesa a provocare, a sfuggire alla madre, ad evitare compiti di scuola, ad alimentare un “hate-blog” dove mostra pubblicamente scene repellenti della madre e dei propri conoscenti. Ellie cercherà di ‘indurre nel peccato’ un altro adolescente, Elder Thomas, mormone, che gira l’America per diffondere la salvezza. Completano la carrellata di personaggi Liz, un’infermiera, e Mary, l’ex moglie, apparentemente intenta a sottrarre quanti più soldi possibili a Charlie. Il tutto mentre si dibatte su due capolavori sacri dell’America, il poema Song of Myself (con l’eterno dibattito, tutto statunitense, se il “myself” sia riferito all’autore Walt Whitman o ad una entità metafisica e universale), e Moby Dick di Melville, in particolare il rapporto tra Ismaele e Queequeg, che sembra ripercorrere idealmente quello di Charlie e del suo amato. Lo sciabordio delle onde marine accompagna le ultime parole del protagonista: «And I felt saddest of all when I read the boring chapters that were only descriptions of whales, because I knew that the author was just trying to save us from his own sad story, just for a little while». America, America… tutti i cliché sembrano resistere.