Romantico, ironico, irriverente, struggente, divertente: la regista siciliana Emma Dante porta il suo Tango delle capinere al Teatro Goldoni dal 14 al 17 dicembre.
C’è un luogo in cui il tempo si smarrisce tra le note di canzoni conosciute, dove l’amore danza attraverso le generazioni unendo passato, presente e futuro in un abbraccio senza fine. È da qui, dal palco incantato dello spettacolo Il tango delle capinere, che risuona una melodia intima che esplora l’animo umano.
La pièce, nata dal genio della regista e drammaturga siciliana Emma Dante, trae ispirazione dalla sua Trilogia degli Occhiali e riporta in scena, oltre dieci anni dopo e con gli stessi interpreti, i due amanti dello studio performativo Ballarini. Ma se in Ballarini la coppia compariva e scompariva in un lampo, «qui invece c’è un tempo in cui rimangono – racconta la regista –, un tempo in cui entriamo nella loro casa, li ascoltiamo fare l’amore, li vediamo litigare. Sono più presenti, disegnati in maniera più lineare, ma continuano a non avere un nome, non si chiamano, non hanno nomi. […] Quando si vive per tanto tempo con qualcuno non lo chiami più, perché è come se facesse parte di te. Non ha più un nome la persona che sta con te da una vita, e quindi “Lui e Lei” può appartenere a tutti noi; “Lui e Lei” siamo noi».
Ciò che prende forma da una scena nuda, essenziale, delimitata da due grandi bauli ai lati e tenuemente illuminata da ghirlande di romantiche lampadine, è la narrazione avvincente di due anime, una coppia per l’appunto senza nome, ma ricca di vita, intrappolata nella solitudine degli ultimi giorni. I protagonisti, magistralmente interpretati da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, attori storici della compagnia della Dante – coppia dentro e fuori la scena –, trascinano il pubblico in un viaggio di emozioni, sussurri e gesti, trasformando il palco in un caleidoscopio di ricordi.
Il sipario si alza su un’anziana signora, china su un baule, intenta a tirarne fuori un mare di oggetti da cui scaturiscono i momenti più intensi della sua esistenza. È accompagnata dallo spirito del suo defunto marito, entrambi ballano tra le maschere della vecchiaia, tra pillole e risate, tra baci e abbracci.
Fin dal titolo, la musica diviene motore drammaturgico di questa epopea emotiva, attraversando una maratona di successi italiani, da Se mi vuoi lasciare di Michele a Natale di De Gregori, da Watussi di Vianello a Fatti mandare dalla mamma di Morandi, a Ba ba baciami piccina di Rabagliati, che con il loro magnetismo pop richiamano i personaggi al rituale del ballo, mentre percorrono a tappe un viaggio a ritroso nel tempo. Entrambi perdono un po’ alla volta i connotati della vecchiaia: si liberano delle maschere, si spogliano con frenesia, lanciano in aria i vestiti, rinvigoriscono e ringiovaniscono ad ogni strato di vita che si levano di dosso. Ogni passaggio rivela frammenti di una storia condivisa, simbolica, evocata soprattutto attraverso gli oggetti: coriandoli, pacchetti regalo di un passato Natale, una bottiglia di spumante stappata alla mezzanotte di un Capodanno memorabile…
Il racconto ci guida verso l’incontro iniziale, quel momento in cui le due anime scelgono di amarsi di un amore che con il tempo diventa “pagina bianca”, come lo definisce la stessa Emma Dante, che nelle note di regia riporta gli struggenti versi di Alda Merini: «So che un amore/ può diventare bianco/ come quando si vede un’alba/ che si credeva perduta».
Dipanandosi all’indietro come un film, lo spettacolo sgrana istantanee di una vita piena, gioiosa e dolorosa al tempo stesso. È una coreografia dei ricordi, una danza nostalgica e malinconica in cui le parole diventano quasi superflue e i corpi si fanno racconto, racchiudendo l’intimità di una relazione senza tempo.
«Ognuno di noi può trovare dentro questo carillon tutte le cose della sua esistenza – ha dichiarato Emma Dante all’indomani del debutto nella sua Palermo –, è molto semplice, è uno spettacolo semplicissimo, una ballata, è un omaggio ai nostri genitori e alla loro generazione, per me in particolare è un omaggio a mio papà che è molto anziano. […] C’è poco testo, c’è poca filosofia, se non la filosofia della vita, che alla fine è la cosa più banale di tutte».
Il tango delle capinere diventa così un atto d’amore verso le radici, un’ode alla vita, al suo caos e alla sua bellezza, che trova eco nei cuori di chiunque abbia amato, riso, pianto, vissuto.