È nel groviglio di vicoli stipati di gente, nel vociare intenso delle piazze e dei mercati che troviamo Maqbool Fida Husain, seduto sul ciglio della strada, i piedi scalzi imbruniti dal sole, le mani strette alle pagine del quotidiano locale dietro cui due occhi attenti scrutano l’eterno spettacolo di fumi e colori della baraccopoli di Nuova Dehli.
Nato nel lontano 1915, per più di settant’anni Husain ha passeggiato a piedi nudi per le strade della memoria imprimendo nelle sue tele visioni di un’India vecchia e nuova, raccogliendo icone dimenticate e fotografando i mille luminosi volti di una delle civiltà più antiche e feconde della storia. Oggi, questo sentiero fa tappa ai Magazzini del Sale, che per l’occasione si trasformano in un personale tempio consacrato al mosaico sincretico della sua vita e della sua arte. Il cammino di Husain inizia nella periferia di Mumbai, dove muove i primi passi come illustratore per l’infanzia producendo un ricco corpus di disegni, in cui miti e leggende rurali si mescolano organicamente al repertorio occidentale. La vera svolta arriva nel 1947, anno della liberazione della Nazione dal giogo britannico e della sua prima mostra: unitosi a un gruppo di giovani avanguardisti desiderosi di fondare un’arte nuova, epurata dall’indottrinamento coloniale, con taglio sarcastico Husain si riappropria di tradizionali iconografie religiose, politiche e letterarie avvicinandosi alla vigorosa pennellata cubista che gli valse il nome di “Picasso dell’India”.
Nei decenni a venire il pittore conquista un successo straordinario, rivelando la sua personale mitologia nelle gallerie e nei musei di tutto il globo. Tuttavia, al picco estremo della carriera, sarà proprio la terra natia a voltargli le spalle: a seguito di ripetuti e violenti attacchi perpetrarti dalla corrente integralista indiana, che nella sua arte aperta e conciliatrice intravedeva la corruzione della cultura nazionale, Husain è costretto a lasciare la sua amata patria migrando in esilio volontario tra il Qatar e Londra. Quell’India fatta di coloratissimi quartieri popolari, di festose divinità e di luccicanti insegne al neon ha pervaso l’immaginario dell’artista sino alla morte, infondendo i suoi ultimi capolavori dell’aura nostalgica e sognante che ha ispirato il titolo dell’esposizione: The Rooted Nomad.
La mostra è un’occasione unica per calcare le orme del padre del Modernismo indiano, non solo attraverso le 160 opere provenienti dal Kiran Nadar Museum of Art, ma soprattutto grazie alla toccante esperienza immersiva che, combinando interpretazioni animate dei dipinti, musiche originali e una trama evocativa, restituisce a pieno la natura di questo spirito itinerante, capace di abbracciare ogni cultura e al contempo profondamente innamorato della sua terra.