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Rock e catarsi

Deflagrazione rock all’AMA con i Queens of the Stone Age
by Riccardo Triolo

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Josh Homme e soci protagonisti ieri sera di un concerto memorabile a Romano, per la decima edizione di AMA Music Festival.

Caos controllato, evasione, catarsi. L’attitudine rock dei Queens of the Stone Age, ieri all’AMA Festival, ha detto molto, moltissimo del senso di questa forma musicale, che impone ancora ai corpi di scuotersi e urtare, di quel che siamo oggi, alla fine della festa. Una comunità attraversata da tensioni incontrollabili, che per quasi due ore di show si proietta sul palco e dimentica il resto del mondo. «There is only us, me and you, and fuck the rest of the world tonight!», tuona Josh Homme, oscillando come un algido Elvis, mentre la folla, un pubblico transgenerazionale, grida la sua urgenza disperata di esserci. Ancora e ancora.

Il rock ibrido, multiforme di questa band mutante (la formazione dei QOTSA non è mai la stessa, con l’esclusione del frontman) ha ripreso il rock a fine Novanta e lo ha rimescolato dalle fondamenta, contro ogni ortodossia, mettendone in luce l’eclettismo di fondo: il marchio di fabbrica è un muro di chitarre monolitiche attraversato da groove ipnotici e allo stesso tempo permeato da una sensibilità melodica quasi pop, capace di incantare, scuotere, ammiccare. Con misura, controllo. Anche della scena.
E nel pogo frenetico del centro del parterre, governato dalla fortissima presenza psichica della band, capace di orchestrare il pubblico come fosse uno dei suoi strumenti, mi sorprendevo a rintracciare i segni di un mondo dilaniato da divisioni interne, ormai polarizzato e di un paese percepito da molti come avulso dal contesto internazionale, bullo, autarchico, irrazionale. In questo scenario, la musica dei Queens of the Stone Age non è solo un sfogo, ma un invito a ballare sull’orlo del baratro, a trovare un’unità nella comune vulnerabilità. Homme, con la sua presenza carismatica e la sua interazione sferzante con il pubblico, si è fatto portavoce di un bisogno diffuso: quello di un disimpegno non superficiale, ma consapevole, un’immersione nel caos controllato del rock’n’roll per sfuggire, anche solo per due ore all’incertezza e alla precarietà.

Già, perché Homme il rock ‘n’ roll l’ha reinventato con audacia e ironia, scuotendolo fin dalle sue radici bluesy, conferendo alla musica suonata ed esibita il potere di esorcizzare il male: compreso quello personale, che il frontman ha accumulato negli ultimi anni, segnati da un divorzio doloroso, battaglie per la custodia dei figli e problemi di salute. Un rock appunto catartico e originario, nella sua attualissima configurazione eclettica e anti ortodossa.
Una scaletta, quella dello show all’AMA, che si è mossa dalle orgini con Regular John del 1998, subito incalzata dall’inno No One Knows, tratto dal capolavoro Songs for the Deaf (2002), per poi spostarsi su brani degli anni dieci e venti, soprattutto dagli album … Like Clockwork e In Times New Roman. Gran finale con Make It Wit Chu, con un medley da Miss You degli Stones che ha coinvolto il pubblico in un singalong orchestrato da Homme, e un bis repentino che si è chiuso con una tiratissima A Song for the Dead, tenuta sul filo e poi fatta esplodere. Come una relazione diplomatica negata da una deflagrazione.

Foto in evidenza: (c) Giovanni Zonta.

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