Suggestivo, imponente, intriso di una struggente malinconia, il progetto italiano alla Biennale Arte 2022 è allo stesso tempo un viaggio nel passato e uno sguardo sulle contraddizioni della contemporaneità del nostro Paese.
Al Padiglione Italia si entra da un accesso che ricorda la facciata di un impianto industriale. Subito alcuni cartelli invitano al silenzio mentre una radiolina d’epoca trasmette la voce di Ornella Vanoni in Senza fine, canzone scritta da Gino Paoli nel 1961. Chissà se Gian Maria Tosatti, l’artista che quest’anno rappresenta il nostro Paese alla Biennale Arte, aveva in mente anche Battiato quando ha progettato Storia della Notte e Destino delle Comete. Perché tutto nel Padiglione sembra rimandare ai «segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire» e alle luci che «fanno ricordare le meccaniche celesti».
La prima area delle Tese è una fabbrica silente e abbandonata, un capannone spoglio e raggelante dove i segni di vita indicano solo una vita che non c’è più, o che si sta svolgendo altrove. Come vestigia spettrali del boom economico italiano, macchine, attrezzature, colonnine per la timbratura del cartellino e tavoli disposti in file omogenee richiamano alla mente la dimensione monotona e disumanizzante del lavoro meccanizzato. I nostalgici detriti della civiltà industriale proseguono nello spazio successivo, dove l’idea di stabilimento industriale ritorna sotto forma opificio, con macchine da cucire ordinatamente disposte e immerse in una luce fredda. L’alienazione della fabbrica declinata al maschile e al femminile. Infine, la penombra avvolge l’ultimo ambiente, invaso da un’acqua scura.
Quest’ultima visione consuma gli scampoli del primo atto, preparando l’epifania finale: il Destino delle Comete, in cui l’immaginario si ribalta in una vera e propria visione, allucinata e catartica. L’ultimo capannone, infatti, apre la saracinesca del suo grande vano di carico, inaspettatamente, su un mare notturno e agitato che sbatte contro le sue pareti. Una fila di lampioni stradali semisommersi suggerisce che di fronte a noi dev’esserci stato un piazzale e una strada, fino a poco prima. Ma ora c’è solo acqua scura che ha invaso tutto, la cui forza ci ricorda come la Natura oltraggiata non perdoni mai l’Uomo. Sin dalla notte dei tempi. (Gian Maria Tosatti)
L’ambiente è debolmente illuminato anche da piccole luci intermittenti che richiamano un pensiero di Pier Paolo Pasolini, espresso in un articolo del 1975 per il «Corriere della Sera» poco prima di venire brutalmente assassinato:
Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato…).
La preoccupazione di Pasolini non era – o non era solo – di carattere ambientalista. La scomparsa delle lucciole stava a rappresentare una svolta nella vita politica e sociale italiana, un momento di passaggio tra un prima e un dopo la «scomparsa delle lucciole», tra i precedenti «fascismo fascista e fascismo democristiano», ugualmente imbevuti di chiesa, patria e famiglia, e il nuovo capitalismo che svelava l’incapacità della classe politica dominante di capire i mutamenti e i bisogni della società all’indomani del “miracolo italiano”. I riferimenti letterari non finiscono qui. Su tutti c’è un dichiarato rimando a La Dismissione di Ermanno Rea.
Il lavoro di Gian Maria Tosatti si è sempre distinto per una forte semantizzazione degli spazi, oltre che dei dispositivi di cui si serve per concretizzare lo spirito dell’opera. Gli spazi del Padiglione andranno in questo modo a rievocare quelli descritti ne La Dismissione di Ermanno Rea, che considero l’ultimo romanzo industriale della letteratura italiana, incentrato sulla dismissione dell’Ilva di Bagnoli, una dismissione da intendersi più estesamente come la demolizione di tutto un sistema di pensiero. Da un accadimento specifico è possibile quindi parlare più ampiamente di un problema che coinvolge la società tutta e le idee che la sorreggono, o l’hanno sorretta, sino a un momento dato. Una disposizione mentale, una visione direi che connota sia questo importante romanzo che la progettualità del Padiglione, a testimonianza del grande potere metaforico peculiare del fare arte. (Eugenio Viola)
Suggestivo, imponente, intriso di una struggente malinconia, il lavoro di Gian Maria Tosatti e del curatore Eugenio Viola è allo stesso tempo un viaggio nel passato del nostro Paese – la Storia della Notte – e uno sguardo sulle contraddizioni della contemporaneità non privo di preoccupazioni per un modello di sviluppo che ha progressivamente allontanato l’uomo dalla sua dimensione naturale, un allarme che si estende anche ai cupi segnali del presente.
Esiste una parte del Padiglione che si riferisce al tempo che stiamo vivendo, un presente che al momento in cui abbiamo iniziato a lavorare non pensavamo potesse corrispondere a una notte così buia, a un buio così pesto: credevamo, infatti, di stare affrontando in quel momento il punto più basso della nostra storia recente, senza immaginare che la tragica dimensione bellica potesse tornare di così stretta attualità. […] Di sicuro però non mi aspettavo una guerra del genere nell’Occidente che ha costruito la democrazia ormai diverse centinaia di anni fa, anche se quello che è successo ci fa vedere come parlare di “notte” fosse tristemente appropriato. (G.M.T.)
Tuttavia il finale si apre alla speranza verso un’umanità che come una Cometa non può che attraversare il proprio Destino cercando di trarne il meglio. L’apertura ad una visione ottimistica è attuata anche attraverso una serie di incontri di carattere scientifico-divulgativo che vedono confrontarsi esperti del settore ecologico-ambientale e protagonisti del mondo della cultura per tutta la durata della Biennale, lasciando spazio ad una riflessione sulle modalità più appropriate per tornare a prendersi cura dell’ambiente e incoraggiando un dibattito pubblico che fa espressamente riferimento agli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
Il Padiglione parla di questo, mettendoci di fronte a una sconfitta, su questo non c’è dubbio, ma anche alla possibilità di riscattare questa stessa sconfitta riscrivendo un destino che non può essere prestabilito. La possibilità di cambiare rotta ci viene data continuamente, ogni giorno, più volte al giorno. (G.M.T.)
Eugenio Viola e Gian Maria Tosatti presentano il Padiglione Italia alla 59. Biennale Arte