Somewhere over the rainbow

ricci/forte raccontano Emerald, la loro terza Biennale Teatro
di Fabio Marzari
Stefano Ricci Gianni Forte Biennale Teatro Venezia

Dopo Blue nel 2021 e Rot (rosso) nel 2022, quest’anno i direttori del settore teatro della Biennale virano verso il verde smeraldo, ispirandosi alla Città di Smeraldo (Emerald City) del Mago di Oz.

Autori e registi di culto del teatro di ricerca italiano, internazionalmente riconosciuti come una delle realtà più rappresentative, provocatorie e impavide della scena contemporanea ricci/forte, al secolo Stefano Ricci e Gianni Forte, sono alla guida della loro terza edizione di Biennale Teatro. Dopo la prima edizione caratterizzata dal blu, la seconda dal rosso, quest’anno tocca al verde smeraldo, colore evocativo, perché richiama Emerald City del Mago di Oz. Un’edizione del festival incentrata sull’incantesimo, il prodigio, il teatro come possibilità di catalizzare un’attenzione e soprattutto un rinnovamento. «La possibilità di rivoluzionare. A partire dagli artisti, ma per poi portare questa ondata prodigiosa anche in platea, perché c’è bisogno di rinnovamento, c’è bisogno di una nuova assunzione di responsabilità. E attraverso il prodigio, inteso come rimessa in gioco e rimessa in discussione delle nostre certezze, false, possiamo forse gettare le basi per un futuro culturale più vicino a quelle che sono le nostre istanze». Ogni risposta è un racconto nel racconto, lo stile accarezza le vette della sublime affabulazione e il loro Festival è una fresca fonte di rigenerazione culturale.

Emerald – smeraldo – è il colore dell’edizione 2023 di Biennale Teatro. Un tono deciso, brillante che evoca una speranza. Può il teatro segnare un cambiamento in un mondo dove i palcoscenici raccontano realtà sempre più superate dal quotidiano? Sono malizioso nel pensare che la vostra Biennale rappresenta una sorta di necessaria fuga dalla realtà per calarsi in una consolatoria Emerald City?
Il Teatro è riflessione. Riflessione è dubbio. Dubbio è trasformazione. Il Teatro è trasfigurazione per mettere a fuoco il Reale: è il palcoscenico che permette di superare l’ignavia uniformata del Quotidiano; nessuna fuga ma unicamente approdo ad un Sé autentico.

Milk © Khulood Basel

Inutile negarlo, la cesura tra cultura e politica è nettissima, così come quella con il Paese. Come si riesce ad ideare una rassegna di livello così elevato senza piegarsi al pensiero “dominante”? Esiste una formula, una ricetta alchemica, un sortilegio che ci permetta di contagiare con la magia di Biennale Teatro l’intera città oltre queste due travolgenti settimane di giugno?
Prima di un Festival c’è un uomo, e i suoi principi artistico/etici: sono loro a guidarlo, non certo quelli di una governance. L’unico antidoto al sonno culturale è un bacio, cura e onestà intellettuale verso il prossimo; sarà la consapevolezza di quelle labbra a risvegliare dal torpore.

Ci attendono “quindici giorni di sogni, divisioni, di caos rivitalizzante”: se doveste offrire un vademecum degli spettacoli, come si potrebbe delineare un ideale percorso di visione?
Per la 51. edizione, e per la prima volta durante il nostro mandato, la Biennale offrirà più giorni di programmazione per il suo festival di Teatro. Due settimane durante le quali verranno presentati 13 spettacoli e due performance site-specific di una sconvolgente attualità, pur non essendo ingabbiati nella realtà dell’Oggi. Infiammando l’immaginazione al ritmo di sistole e diastole della fantasia, perseguendo un’ostinata continuità di pensiero e un prodigioso gioco di rimandi/ellissi/variazioni, attraverso un’implacabile radiografia e i prismi dell’impegno politico-civile e dell’emozione, i 14 artisti (tra italiani e stranieri) solleveranno il velo che oscura il nostro sguardo per svelare la trama degli inquietanti intrecci dell’inverno del nostro scontento, testimoniare un’epoca tentacolare come quella attuale, intrisa di spaccature, scontri violenti e sanguinose repressioni, per conquistare l’approdo di un urgente orizzonte di libertà.

Het Land Nod © Kurt Van der Elst

Come da voi stesso annunciato, quest’anno le giovani creazioni del College sono parte integrante e cuore pulsante del Festival. In che modo si sta sviluppando il percorso di Biennale College Teatro e quali i risultati di questi primi tre anni del vostro mandato?
Inalberando un vessillo di fierezza, un bilancio entusiasticamente positivo. Dal 2021, anno in cui siamo stati nominati Direttori Artistici di Biennale Teatro, abbiamo proseguito la missione di “scopritori-rabdomanti”, espandendo l’età dei partecipanti italiani (fino a 35 anni per registe/registi e a 40 per autrici/autori) dei due Bandi College Regia e Drammaturgia, già esistenti, e inanellando un terzo Bando Performance (fino a 40 anni), anche per stranieri. Attraverso un instancabile lavoro di scouting e guida, permettendo loro di uscire dall’invisibilità e precarietà, stiamo incoraggiando la fragranza di nuove voci e le multiformi esplorazioni delle giovani generazioni di creatori, dando loro la chance di far germinare in autonomia un personalissimo alfabeto artistico e i temi cardine del loro universo poetico, fuori dai sentieri battuti, e in più la possibilità di cercare e ricercare, edificando uno spazio d’accoglienza e di scambio. Integrando i loro lavori nel cuore stesso della nostra programmazione del Festival, non relegandoli in una sezione specifica o separata, forniamo loro, per quanto possibile, i mezzi necessari per poter irradiare al meglio le loro potenzialità espressive durante tutto il processo di sviluppo dei loro progetti.

Immagine in evidenza: Gianni Forte e Stefano Ricci (ricci/forte), Direttori del Settore Teatro © Andrea Avezzù

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