In attesa che si accendano i riflettori sui giorni del Lido e su Venezia 79, uno sguardo sulla Mostra nel suo incessante cammino nella storia del cinema.
Sollevo lo sguardo dal programma della Mostra del Cinema 2022 e, in forma totalmente inconscia, mi viene alla mente un frammento di una poesia di Saffo: Alzate l’architrave, carpentieri. Lo sposo, simile ad Ares, sopraggiunge, il più alto tra tutti gli uomini (sì, avete ragione, Salinger usò questo verso per il suo racconto più spassoso…). Perché? Razionalmente cerco di interpretare l’insorgenza di questo ricordo poetico e il motivo per cui lo accosto a questa edizione della Mostra. Arriva lo sposo e sembra che il suo arrivo produca un surplus di realtà, che sia come l’interruzione di un momento di sospensione in cui la realtà pare quasi esorcizzata, allontanata. Si inizia a costruire il baldacchino matrimoniale e lo sposo giunge per dare inizio al rito: è lui, portatore di una discontinuità tra prima e dopo, a far ripartire una nuova storia, una nuova possibilità.
È di palese evidenza che, nei 12 anni che sono passati da quello che fu l’annus horribilis (citazione dal bellissimo volume sulla storia della Mostra di Gian Piero Brunetta, pubblicato da Marsilio), il 2010, la Mostra ha saputo recuperare il tempo e le chances perdute attraverso una totale riorganizzazione dei vari aspetti che determinano il successo di un festival cinematografico: la rete di relazioni, l’autorevolezza nei rapporti con l’industria, la qualità della selezione, la logistica, l’attrattività per la stampa e i divi, una felice convergenza tra la premialità della Mostra e quella degli Oscar. L’edizione del 2020, con il suo coraggio resistenziale che si trasformò in una impeccabile messa in atto organizzativa, e quella del 2021, ancora sottoposta ai vincoli complessivi della pandemia, sono state come un lungo momento di sospensione, non dal lavoro – che, anzi, certamente è aumentato – ma dalla realtà sfibrante e tremenda dell’isolamento e del blocco delle attività. Un grande, entusiasmante segnale di coraggio. Ed ecco, ora arriva lo sposo: ora si ritorna alla realtà non più fatta di impavida resistenza e di lotta alla paura ma di complessità strutturali e nuove trincee quotidiane. Perché la sensazione è che gestire un festival cinematografico di rinomanza mondiale come Venezia, oggi, è diventata faccenda assai più complicata rispetto a solo dieci anni fa. Perché prima un festival era proprio quel momento di sospensione della belligeranza tra industrie cinematografiche che doveva celebrare l’arte cinematografica in una del tutto provvisoria no war zone; ora, invece, il festival è il luogo dove esplodono le linee mutevoli del continuo cambiamento dell’industria del cinema e dove deflagrano i conseguenti conflitti. Oggi un festival di cinema è diventato uno degli elementi della nuova catena del valore del prodotto cinematografico e deve prendere posizione su tutte le issue aperte, dal cambiamento tecnologico al nuovo accesso facile al credito come risposta alla pandemia, su cui è stato molto chiaro il direttore Barbera in conferenza stampa, in una incessante proposizione di problemi nuovi che si accavallano con quelli vecchi. Si era non da molto brillantemente superata la diatriba tra cinema autoriale e cinema di consumo con una formula che, senza più ricorrere ai riti gladiatori delle proiezioni notturne dei blockbuster, era riuscita a trovare un mix intelligente che finalmente era riuscito a togliere a Venezia la sua insopportabile qualifica di “festival autoriale” e basta. Ed ecco ora, a stretto giro, le urgenze derivanti da problemi più strutturali, legati appunto alla scelta di campo tra produzioni destinate alle piattaforme streaming e film per le sale, al blocco delle cinematografie del Far East, alle difficoltà a ripartire per le cinematografie meno dotate di strutture produttive, alla iper-concentrazione di film non ancora usciti che aspettano l’autunno e nell’attesa non disdegnerebbero un “aiutino” dal festival.
È arrivato lo sposo infine, sì, è riapparsa la prosaica realtà che apre un nuovo capitolo in cui le incertezze sono certamente superiori alle certezze. Il programma di questa Mostra 2022 presenta, almeno sulla carta, una selezione bella ed equilibrata, dove i film in Concorso non si inseriscono in una linea di rispetto per il passato del cinema (con la strepitosa sezione dei Classici restaurati, che torna al Lido dopo due anni di prestito, uno a Bologna, l’altro a Venezia, al Rossini mesi dopo la chiusura della Mostra) e di sguardo al futuro, con la bella conferma della scommessa fatta oramai da sei anni sulla Realtà Virtuale (che appare più seria ed efficace rispetto alla strizzata d’occhio ai teenager fatta da Cannes con l’accordo con Tik Tok).
Ora si deve andare avanti. Come indicò Luigi Nono nella sua ultima composizione, «Caminantes, no hay camino, hay que caminar…».