Nonostante le differenze che caratterizzano le diverse installazioni di Personal Structures – Reflections, che trovano posto nelle tre diverse sedi espositive di Palazzo Mora, Palazzo Bembo e Giardini della Marinaressa, emergono due temi, due evidenti fili conduttori: natura e sentimento.
Mondi diversi che si incontrano, veicolati tramite materiali ‘non convenzionali’ – tessuti, ceramica, pietre, tappeti, ferro – che reinventano il mondo dell’arte, portandolo al confine tra il design e la ricerca di nuove dimensioni della percezione. A farsi portavoce di questa visione sono 11 artisti di diversa provenienza geografica e culturale che hanno scelto Venezia e la mostra Personal Structures – Reflections come palco per le proprie opere. Nonostante le differenze che caratterizzano le diverse installazioni, che trovano posto nelle tre diverse sedi espositive di Palazzo Mora, Palazzo Bembo e Giardini della Marinaressa, emergono due temi, due evidenti fili conduttori: natura e sentimento. La natura, madre suprema che vive attorno e dentro di noi, e il sentimento, non solo le emozioni scaturite dall’arte, ma anche le fragilità, i vuoti che rappresentano e accomunano gli esseri umani.
Le opere di questi artisti offrono un viaggio ‘altro’, una scoperta bilaterale che lambisce da una parte la percezione tradizionale del fare arte, che si reinventa e si ricrea, e dall’altra il potenziale umano che in alcuni casi appare quasi sperduto e orfano e per questo bisognoso di indagare la connessione con il mondo e le sue origini, mentre in altri si fa promotore di quell’intricato e a volte perduto sinecismo che alla fin fine dovrebbe unire tutti noi.
Andrea Vinković, artista croata che fa delle fragilità e dei misteri del mondo le sue muse ispiratrici, esprime concetti ed emozioni attraverso l’impiego della ceramica, materiale estremamente fragile che grazie proprio a questa sua caratteristica riesce a esaltare la sua bellezza intrinseca. La nuova opera Emergence a Palazzo Mora riflette non solo la complessità della natura, ma anche quanto essa sia simile all’uomo, a dimostrazione di un’implicazione tanto ovvia quanto in realtà spesso dimenticata: tutti gli organismi viventi condividono la stessa casa. Vinkovic, attraverso questa installazione che ricorda da vicino le forme dei coralli e del plancton, cerca di dimostrare come i principi di mutamento e di adattabilità nella società e nell’economia si possano affiancare all’ecosistema naturale e come queste diverse entità, nonostante siano troppo spesso in competizione l’una con l’altra, possano condividere delle regole comuni.
Bjørnådal Arkitektstudio, studio di architettura norvegese dallo stile estremamente moderno, punta ad assecondare e incrementare la potenza della luce naturale attraverso l’ampio utilizzo del vetro, materiale duttile ed efficace, per unire la struttura con l’infrastruttura circostante, ossia l’ambiente. Nell’installazione intitolata Spheres, ospitata ai Giardini della Marinaressa, Bjørnådal Arkitektstudio imprigiona delle sfere di vetro di diversa grandezza, finemente decorate, all’interno di un reticolo in ferro con una struttura a sei braccia, una sorta di scrigno a forma di bocciolo che racchiude al suo interno una preziosa rete carica di gioielli.
Vetro soffiato a mano, Helen Twigge-Molecey non poteva scegliere modalità migliore per decretare il suo legame con Venezia. A Palazzo Mora sono esposte alcune opere in vetro prodotte personalmente dall’artista e designer attraverso un processo appreso da autodidatta. In Fungi la magia del vetro plasma esemplari unici dalle forme sempre più riconoscibili e riconducibili alla simbologia del fungo. Anche in questo caso la luce fa da coprotagonista e si riflette visibilmente attraverso i colori vivaci delle opere, dando vita a un emozionante spettacolo fatto di sfumature, di luminescenti trame cromatiche.
Hrachya Vardanyan, artista armeno, cerca di trasmettere attraverso le sue opere e le sue installazioni l’amore per natura, arte, politica, cultura, denunciando la complessità e i conflitti che intercorrono tra di esse. La sua installazione crack{s}, a Palazzo Mora, è rappresentata da due dipinti su larga scala; attraverso di essi è possibile scorgere il flusso di coscienza dell’artista, un vortice di pensieri intricati. Lo spettatore si trova spiazzato davanti a questi originali lavori: pattern e forme usuali spariscono lasciando spazio a qualcosa di più profondo e metaforico, che trascende i limiti e i confini spazio-temporali. Tele crepate, astratte, che potrebbero rappresentare simultaneamente l’inizio di tutto come la sua stessa fine. Chi si troverà a guardare dentro l’opera di Vardanyan sarà portato naturalmente a farsi delle domande, a cui però potrebbe non trovare risposta.
Ian Hagarty e Danny Kaufmann sono due professori universitari alla Marshall University in Virginia, USA, che traggono ispirazione per le loro opere da diversi elementi principalmente naturali. In particolare prediligono ispirarsi al corso dei fiumi, alla loro sinuosità e allo spazio che disegnano attraverso il loro serpeggiare. I protagonisti dell’installazione A Shared Reverence, a Palazzo Bembo, sono proprio i colori forti e vivaci del corso del fiume che si interseca con il paesaggio. Lo spettatore ha la percezione di avere di fronte una visione dall’alto, a volo di uccello, uno sguardo unico e privilegiato tale da permettere di carpire i segreti della natura circostante. Potremmo dire che l’opera di Ian Hagarty e Danny Kaufmann rappresenti un viaggio immersivo di cui il pubblico è parte integrante.
The Idol è l’opera di Jacques Jarrige, in mostra a Palazzo Mora, che cerca di dare voce all’impulsività dei segni e delle forme nello spazio. Come sospese e fluttuanti nel vuoto, le opere dell’artista francese vengono riproposte in materiali umili, alluminio e ottone, garantendo una maggior vitalità alle stesse. Per Jarrige è molto importante il rapporto diretto con il materiale, perché attraverso di esso, attraverso la fatica e il lavoro di plasmare le forme, le opere si impreziosiscono, permettendo all’artista di restituire, attraverso questo lavoro di trasformazione materica, la propria cifra identitaria, artistica ed esistenziale. Chi si pone al cospetto delle sue opere si trova contemporaneamente di fronte a un frammento dell’artista stesso, in una perpetua connessione tra materia/artista e opera/pubblico.
Kwak Hye-Young, artista coreano, utilizza principalmente la ceramica per cercare di catturare e interpretare il rumore della pioggia che cade sulle sue opere. Sono tavole ricoperte di cobalto, colore scuro, nero, che assorbe la luce esattamente come il terreno farebbe con la pioggia che cade. L’installazione presente a Palazzo Mora è stata realizzata, come la maggior parte delle sue opere, grazie al picchiettio vero e proprio delle gocce d’acqua che durante la tempesta cadono inesorabili dal cielo. La fusione tra pioggia e argilla crea dei colori che danno il via a sfumature inedite, prodotte dallo scavare continuo delle intemperie sulla ceramica e sul cobalto, rispondendo alla volontà dell’artista di far «vedere il suono della pioggia».
Lori Weitzner, artista conosciuta a livello internazionale per il suo contributo nel campo del tessile, dei rivestimenti murari, dei tappeti, ma anche dei gioielli e delle pietre preziose, con sue opere presenti nelle collezioni permanenti del Museo Cooper-Hewitt di New York e del Victoria&Albert Museum di Londra, è presente a Palazzo Mora con l’installazione multisensoriale Ode to Color. Vincitrice di più di quaranta premi di design, l’artista immerge lo spettatore in un mondo di sfumature e di correlazioni impensate. Per Weitzner, sostenitrice della “teoria dei colori”, la sua installazione, che si basa su 10 colori differenti che riflettono a sua volta diversi aspetti fondanti della nostra esistenza (dai sentimenti come l’amore o la passione, al concetto di lavoro e riflessione), spinge il pubblico a rispecchiarsi nei colori e a scoprire significati nascosti che fino ad ora non avevano mai considerato.
Xi Nan è un artista cinese con base a New York che attraverso una serie di opere denominate Infinity ∞ Series a Palazzo Bembo cerca di trasmettere al pubblico un messaggio molto importante soprattutto in questa particolare contingenza storica, in cui siamo maggiormente esposti alle nostre fragilità e alle nostre emozioni: «It is okay, to be not okay», ovvero «va bene, non stare bene». Siamo tutte anime fragili e l’artista ribadisce attraverso le sue opere come lei in primis sia soggetta a difficoltà emotive ed espressive; non è sempre facile accettarsi e ancora di più chiedere aiuto quando ne abbiamo bisogno. Attraverso la sua installazione dal carattere multisensoriale, composta da piccoli manufatti, sculture, gioielli, pezzi di arredo, fatti dei più diversi e disparati materiali, spesso anche di ‘scarto’, l’artista invita ad essere meno intransigenti con noi stessi e ad accettare le sue come le nostre fragilità.
Per Zakaria Rugs, laboratorio fondato da Philip Rosenberger nel 2019 e dal 2021 con sede ad Amsterdam, il tappeto è un intermezzo artistico tra innovazione ed espressione, in una sintesi continua tra tradizione, artigianato e arte contemporanea. Le opere non sono solo dei semplici pezzi di arredo ma rappresentano un richiamo collettivo all’attenzione e alla sostenibilità. Questo aspetto viene evidenziato ulteriormente dal materiale che Rugs utilizza per creare le sue installazioni e i suoi tappeti, tutti ideati tramite fibre naturali e trattati con coloranti non artificiali, altamente resistenti e quindi di grande tenuta.
É un connubio di forze il progetto Arroyo Bridge Section, ideato da MADWORKSHOP in collaborazione con R. Scott Mitchell/Gigante AG. Mary e David Martin assieme a R. Scott Mitchell, i quali hanno creato un’associazione per collaborare con studenti, produttori e altri artisti allo scopo di incrementare lo sviluppo di progetti condivisi. Un progetto, questo di Arroyo Bridge Section, che cerca di dimostrare la poliedricità delle forme attraverso il connubio tra fabbricazione robotica e scultura manifatturiera, ispirato all’Arroyo Bridge precedentemente creato nel 2014 per la USC School of Architecture con base in California. L’opera, esposta ai Giardini della Marinaressa, intende incrementare un dibattito riguardante le infrastrutture moderne e future, perché il vero limite è porsi dei limiti inerenti alle possibilità e ai confini dell’arte.
Foto in evidenza: Emergence, AndreaVinkovic