Codice nuovo

La Biennale del suono diffuso raccontata da Lucia Ronchetti
di Andrea Oddone Martin
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Micro-Music indaga le nuove possibilità di ascolto della musica digitale, superando di slancio i limiti imposti da categorizzazioni che il contemporaneo allo stesso tempo impone e rifiuta.

La 67. edizione della Biennale Musica disegna una prospettiva a dir poco innovativa nella lettura dei canoni cui eravamo sin qui abituati. La cifra della produzione musicale contemporanea si sta ormai così diversificando da rendere impossibile la definizione di categorizzazioni dai confini netti. La direzione artistica di Lucia Ronchetti, in questo presente così composito ed atomizzato, apre una finestra sulla contemporaneità musicalmente declinata al digitale, offrendo al pubblico e alla critica un programma aperto, intrigante per la relazione che intesse con l’idea di composizione più tradizionalmente analogica, se così si può dire. Perché è nel nucleo vivo e pulsante dell’elettronica che questa edizione si immerge.

Un’edizione interessante fin dal titolo: perché Micro-Music?
Micro-Music è un’indagine all’interno del vasto mondo compositivo del suono digitale articolata in cinque sezioni, più una sezione di stampo teorico, Sound Studies, dove i protagonisti del festival spiegano al pubblico le loro opere e le loro motivazioni. La sezione più rappresentativa della ricerca sulla musica colta europea dei grandi studi di musica elettronica si intitola invece Sound Microscopies, titolo che definisce le diverse possibili microscopie del suono, il viaggio compositivo vero e proprio all’interno del suono.

La grande problematica dell’ascolto. Come affrontate questa sensorialità in deciso divenire?
Il festival indaga la nuova sensibilità dell’ascolto, l’ascolto della musica elettronica nei luoghi pubblici, nei grandi festival notturni e la pratica dell’ascolto solitario con sofisticate cuffie tecnologicamente avanzate, che permettono di creare una complessa spazializzazione del suono che normalmente noi siamo abituati a sentire dal vivo, nelle grandi sale da concerto. Micro-Music mette anche in luce l’imposizione dell’ascolto di musica riprodotta negli ambienti pubblici in cui entriamo, una sorta di ‘invasione violenta’ ma anche una sensibilizzazione di massa al problema del suono, al problema dell’ascolto, appunto. Il tentativo che ha animato il progetto di Micro-Music è quello di individuare i compositori, i ricercatori, i programmatori, i performer che colgono questo momento, questa nuova sensibilizzazione per creare nuove realtà musicali attraverso le nuove tecnologie.

Il festival indaga la nuova sensibilità dell’ascolto

La musica prodotta con le nuove tecnologie fino a poco tempo fa era materia per eccellenza delle avanguardie. A distanza di anni, possiamo tranquillamente dire che oggi è già storia. Quali spazi di ricerca tecnologicamente davvero nuovi intendete indagare e restituire con questa edizione della Biennale?
Negli anni ’50 soltanto la crème de la crème della ricerca e della creazione poteva permettersi di lavorare nei laboratori di musica elettronica, i computer erano ingombranti e costosissimi, ma nel giro di pochi decenni siamo arrivati ad una diffusione straordinaria di computer e di programmi sofisticati che tutti possono usare, anche grazie a ricercatori geniali ed estremamente generosi come, ad esempio, il Leone d’Argento di quest’anno Miller Puckette. Figure che hanno reso open-source programmi di elaborazione elettronica del suono quali Max Msp e Pure Data. Grazie all’evoluzione dei computer, con la conseguente possibilità per tutti di avere uno studio personale e di poter usare questi programmi per il trattamento del suono, molti musicisti in tutto il mondo possono creare progetti musicali innovativi. La scommessa del festival è proprio quella di cercare, ad ampissimo raggio, quali siano state negli ultimi anni le produzioni di musica elettronica che si sono rivelate più innovative e che hanno creato tendenze importanti e riconosciute.

Miller Puckette – Photo Hector Bracho

Come possiamo definire precisamente il termine “innovazione” in questo universo musicale?
L’innovazione intesa come ricerca di nuove tecnologie applicate alla musica è sviluppata globalmente da team che lavorano all’interno delle grandi industrie che vendono prodotti di elettronica musicale commerciale, ma anche all’interno dei grandi istituti di ricerca e nei gruppi di ricercatori delle università più importanti del settore. Si assecondano le esigenze di un ascolto sempre più preciso, sempre più sensibile e avveniristico, mentre parallelamente si raccolgono gli stimoli innovativi che vengono dalla scena musicale attiva e dalle diverse tendenze della ricerca compositiva elettronica, indispensabili per indirizzare al meglio la ricerca informatica e industriale.

La libertà e l’immediatezza con le quali le esperienze pop si sono avvicinate alle nuove tecnologie di produzione musicale non possono essere assimilabili all’intensità con la quale la produzione colta si è immersa in queste nuove frontiere soniche. Probabilmente la musica più, per così dire, “leggera” si è sentita e si sente in qualche misura inibita dal livello di riflessione profonda che richiede questa disposizione. La divaricazione tra queste diverse attitudini al nuovo, alla ricerca, si è ridotta nel tempo o rimane immutata la distanza?
C’è stata una divaricazione tra l’evoluzione tecnologica e stilistica nell’ambito dell’elettronica generata dalle varie correnti pop, di rock progressivo, dell’elettronica sperimentale e il lavoro di ricerca sul suono elettronico dei grandi centri istituzionali fondati negli anni ’50, identificati come gli ambienti della ricerca colta e che continuano il proprio lavoro sempre associando compositori a programmatori. Credo sia mancato, negli ultimi decenni, un dialogo tra questi diversi ambienti che avrebbe potuto essere molto fertile, ma che forse proprio oggi comincia a farsi strada.

Morton Subotnick

Per quale motivo secondo lei si è venuto a creare questo solco, questa separazione di percorsi?
È stato creato uno spartiacque troppo rigido tra le diverse tendenze stilistiche ed estetiche della ricerca sull’elettronica, basato fortemente sulla tradizione della musica scritta di matrice europea colta, ragione per cui nel tempo molti compositori sperimentali sono in qualche modo stati sottovalutati, o addirittura ignorati. Il nostro festival si apre con due grandi pionieri americani tardivamente riconosciuti, Morton Subotnick e Maryanne Amacher, con il primo che addirittura ritorna alla Biennale Musica dopo sessant’anni, alla  veneranda età di novanta. Il motivo è sicuramente legato alla grande differenziazione che sussiste tra quella che è la complessità della musica scritta e la complessità di quella non scritta. Per molti anni la musica contemporanea scritta è stata considerata l’unica musica di ricerca, ma nella ricerca elettronica e del suono digitale, tema del festival, nessuno è riuscito a creare delle partiture accuratamente definite. Possiamo dire che il programma, il codice informatico stesso, è la forma più evoluta e precisa di scrittura musicale per quello che riguarda suoni di sintesi ed elaborazione elettronica live, codice che sta alla base di tutte le tendenze stilistiche dell’elettronica contemporanea. In realtà ci sono connessioni storiche molto forti ed evidenti tra i due grandi mondi dell’elettronica: per esempio gli Autechre sono un duo il cui lavoro discende dalle prime sperimentazioni elettroniche di Stockhausen degli anni ’50, che ha influenzato fortemente i primi gruppi di rock sperimentale come i Kraftwerk. Gli Autechre sono un collettivo techno, ufficialmente, ma la loro visione della techno è raffinatissima e complessa. Altri musicisti che fanno parte della grandissima scena techno riconoscono invece il minimalismo americano come fonte di ispirazione. Julius Eastman, compositore gay nero americano degli anni ’60, è morto solo e povero, completamente e ingiustamente dimenticato pur essendo attualmente un punto di riferimento per molti artisti della scena dj sperimentale grazie al suo lavoro di scarnificazione dei mezzi musicali, di riduzione dell’organizzazione ritmica a sistemi apparentemente semplici e ripetitivi capaci di generare una nuova dimensione dello scorrimento temporale. Tra i molti mi piace qui segnalare altri due nostri ospiti capaci di lavorare sulla complessità in maniera originale e profonda: le elaborazioni di Jace Clayton, teorico, compositore e dj sperimentale americano che si è interessato ai lavori pianistici di Eastman; le sperimentazioni di Kali Malone, organista americana che crea una musica molto statica e trasparente, basata sull’idea di un ascolto profondo e meditativo che cambia lentissimamente, alla ricerca di una nuova bellezza del suono che è puramente digitale. Entrambi sono musicisti che lavorano sull’improvvisazione costruita e non su partiture scritte, ma sono stati capaci di raggiungere nei loro lavori livelli di complessità sonora davvero impressionanti e terribilmente affascinanti.

Assistiamo ad un Rinascimento della creazione musicale dovuto all’esplosione delle possibilità tecnologiche

Crede che ci si trovi, oggi, ad un punto di svolta epocale? Come nel caso dell’avvento della polifonia intorno al 1200?
Sì, assolutamente. Assistiamo ad un Rinascimento della creazione musicale dovuto all’esplosione delle possibilità tecnologiche e alla diffusione planetaria delle nuove creazioni musicali, accessibili a tutti attraverso la rete, oltre ad un rinnovato senso della ‘necessità’ della performance dal vivo nell’ambito dell’elettronica. In occasione dei grandi e riconosciuti festival mondiali, seguiti da un pubblico immenso, il compositore di elettronica è sempre al mixer, un performer che controlla la diffusione del suono nello spazio e reagisce alla presenza del pubblico. Anche quando tutto il progetto musicale è perfettamente preparato e prestabilito, si può parlare di un nuovo profondo dialogo con un vasto pubblico. Nei grandi festival di elettronica europei, come il CTM di Berlino o Sonic Acts di Amsterdam, è meraviglioso vedere il compositore/performer circondato da un pubblico in piedi che segue lo sviluppo e la diffusione del suono con grande attenzione e passione. Nella edizione 2022 del Festival Atonal a Berlino lo stesso pubblico ha seguito con entusiasmo le performance di tutta la produzione elettronica di Xenakis, eseguite in alternanza a diversi dj e producers che si esibivano dal vivo, a testimonianza di come i due mondi comincino ad avere un dialogo importante e fertile, creando nuovi feedback intrecciati, nuove relazioni tra istituzioni con storie diverse, il che genererà, ne sono certa, nuovi e importanti scenari per la musica contemporanea.

Autechre © Bafic

Vengono in mente gli happening della tradizione americana degli anni ’60…
Micro-Music presenta molti compositori, performer, dj, creatori attivi della musica elettronica che lavorano in forma di happening, vedi, ad esempio, Wolfgang Mitterer e John Zorn, ma anche compositori che vengono dalla scena colta di ricerca come Francesca Verunelli e Johanna Bailie, i quali consegnano agli interpreti una partitura dettagliata. Il programma è basato sul risultato sonoro compositivo e non sulla presenza di una partitura a priori, perché da quando esiste l’informatica e la programmazione musicale non esiste solo la partitura da seguire, ma anche il programma, e il progetto compositivo è spesso frutto di un lavoro collettivo in cui il programmatore non viene mai abbastanza riconosciuto. È tutto scritto in codici diversi e complessi, interconnessi; penso, quindi, che sia arrivato il momento di riconoscere tutto il gruppo creativo impegnato nella lavorazione. In questo senso il Leone d’Argento a Miller Puckette, uno dei più importanti programmatori dell’informatica musicale, è alquanto emblematico.

Presenza sorprendente: l’antico organo.
Altro indubbio protagonista del festival, presentato come uno dei primi meccanismi di produzione e diffusione del suono. Tra i nomi di spicco della sezione intitolata Stylus phantasticus troviamo Claudio Merulo, uno dei più grandi compositori di tutti i tempi, la cui musica rimane sempre molto difficile da capire ed eseguire eppure fondamentale per cogliere lo sviluppo dell’idea della diffusione del suono nello spazio acustico, alla base di tutta la produzione elettronica, idea attorno alla quale si è sperimentato proprio nella nostra città, nell’ambito della Scuola Veneziana di cui Merulo è stato protagonista. Accanto alle sue musiche verranno eseguiti capolavori di Frescobaldi, Gabrieli, Storace e nuovi progetti di Wolfgang Mitterer, John Zorn e Kali Malone. Il tutto per presentare l’organo come generatore di flussi sonori armonici che penetrano lo spazio.

Maryanne Amacher, Courtesy of Peggy Weil © Peggy Weil

Quale segmento di pubblico sarà secondo lei maggiormente sollecitato da questa edizione del festival?
Per me è importante che il pubblico intero della Biennale Musica possa ascoltare concerti di altissima qualità compositiva ed esecutiva. In questo senso, tutti gli artisti invitati sono straordinari, a prescindere che le loro tendenze stilistiche possano essere più o meno apprezzate. Il pubblico deve avere più libertà nella fruizione del concerto, poter entrare e uscire quando la musica lo permette, senza rimanere prigioniero dell’esperienza di ascolto. Allo stesso tempo vorrei offrire molte opportunità di confronto con i protagonisti del festival, per porre loro domande al fine di capirne meglio le motivazioni. È prevista a tal proposito una nutrita serie di conferenze e tavole rotonde, pensate in modo da renderle performative con esempi musicali e interazioni. La figura del creatore di musica elettronica sarà al centro di tutti gli incontri previsti: compositori-ricercatori, compositori-performer, compositori-artisti concettuali, compositori-artisti sonori. Diverse figure artistiche con il loro team creativo che allargano la concezione consueta del creatore di musica.

Il pubblico deve avere più libertà nella fruizione del concerto, poter entrare e uscire quando la musica lo permette, senza rimanere prigioniero dell’esperienza di ascolto

Le installazioni sonore come si connotano?
Altro modo per ascoltare l’elettronica è quello offerto dalla sezione Sound Exhibitions/Sound Installations, in cui diverse installazioni sonore vengono concepite e posizionate in spazi neutrali che permettono al pubblico di ‘entrare’ fisicamente nel suono, visitandolo ed esplorandolo liberamente, senza la dimensione cronologicamente obbligata del concerto. Penso in particolare a due installazioni di due giovanissimi compositori, artisti, performer e ricercatori, Louis Braddock Clarke e Alberto Anhaus, che occupano le Sale d’Armi dell’Arsenale. Louis Braddock Clarke, sound artist inglese e geologo dilettante, lavora sulle risonanze infra-gravi generate da lastre metalliche che evocano la creazione di habitat sonori naturali e organizzati dall’uomo situati al limite della fascia di udibilità, per sentire effettivamente le frequenze naturali che ci circondano e stimolare una nuova sensibilità nei confronti dell’ambiente. Alberto Anhaus, giovane compositore, percussionista e sound artist veneto, ci porta invece nel mondo subacqueo della laguna per osservare la decomposizione delle alghe e i suoni di questo habitat, percepibile visivamente e olfattivamente ma sconosciuto nella sua realtà sonora.

 

Immagine in evidenza: Lucia Ronchetti, Courtesy La Biennale di Venezia – Photo Andrea Avezzù

67. Festival Internazionale di Musica Contemporanea