Partecipazione / Beteiligung, il progetto ad opera del collettivo austriaco AKT e dell’architetto Hermann Czech prevedeva di dividere in due lo spazio del Padiglione austriaco e di ‘consegnarne’ una metà alla cittadinanza rendendola liberamente accessibile.
L’idea originaria era di dividere in due lo spazio dell’edificio e di ‘consegnarne’ una metà alla cittadinanza rendendola liberamente accessibile. Il progetto del Padiglione austriaco, che è situato presso il muro perimetrale che separa i Giardini dalla zona di Sant’Elena, ha rappresentato in tal senso un’azione politica fin dalle premesse, chiedendo da un lato un cambio di paradigma alla Biennale, ovvero di rendere pubblica un’area interna ‘concedendola’ temporaneamente alla collettività, e dall’altro presupponendo una serie di autorizzazioni e di interventi strutturali da parte degli organi amministrativi della città. Partecipazione / Beteiligung, il progetto ad opera del collettivo austriaco AKT e dell’architetto Hermann Czech, ha avuto dunque uno sviluppo diacronico che lo differenzia dalle consuete partecipazioni nazionali, evolvendosi a partire dalla sua concezione iniziale fino ad arrivare alla proposta attualmente visitabile ai Giardini, passando per una continua revisione della sua forma espositiva, architettonica e progettuale.
Abbiamo incontrato il collettivo AKT a metà di questo percorso, quando, a Biennale Architettura non ancora iniziata, era già evidente che dopo il rifiuto della prima bozza di modifica – quella con la divisione a metà del Padiglione – con tutta probabilità sarebbe stata respinta anche la sua variante, che prevedeva la costruzione di un ponte di collegamento tra l’area comunale e il Padiglione. Infine, i curatori hanno risolto la partecipazione dell’Austria alla 18. Biennale Architettura presentando negli spazi progettati nel 1934 da Josef Hoffmann il resoconto di questa vicenda, mettendone in luce intenzioni e implicazioni. Il dibattito nato attorno a Partecipazione / Beteiligung è diventato il progetto stesso, o meglio, come sottolineano i curatori, «è lo stesso progetto di partenza, non importa come sia stato realizzato o quale percorso abbia seguito, la sua essenza rimane intatta».
Cos’è il collettivo AKT e come nasce la collaborazione con Hermann Czech?
AKT è un collettivo di architettura composto da diciassette membri che si pone l’obiettivo di promuovere la produzione indipendente e utopica dello spazio con l’obiettivo di sfidare l’organizzazione formale tradizionale. Abbiamo chiesto a Hermann Czech se era disposto a collaborare con noi proprio in vista del progetto per la Biennale e lui ha accettato. Ritenendo che l’architettura contemporanea richieda un maggiore approfondimento teorico, abbiamo trovato in lui un approccio interpretativo affine al nostro, non tanto dal punto di vista estetico quanto per la sua particolare attenzione all’impatto dell’architettura in un dato contesto sociale. Ci è sembrato interessante collaborare con un architetto e teorico dell’architettura che, oltretutto, ci offre l’opportunità di ingaggiare una sorta di confronto generazionale, essendo lui nato nel 1936.
Come è nata l’idea di Partecipazione / Beteiligung?
I progetti per la Biennale di Venezia vanno presentati con largo anticipo. Quando abbiamo proposto Partecipazione / Beteiligung per il Padiglione austriaco non eravamo ancora a conoscenza di quale sarebbe stato il tema della curatrice Lesley Lokko. In seguito ci è sembrato che la nostra proposta si adattasse benissimo al suo Laboratorio del Futuro. La premessa iniziale è questa: cosa produce l’architettura nella sua forma costruita e quali conseguenze comporta? La prima idea che ci è venuta in mente è stata quella di spostare la divisione tra l’area dei Giardini e la città. Volevamo dimostrare che rinnovando o costruendo edifici si modificano in modo sostanziale anche le condizioni sociali. Inizialmente l’architettura agisce sullo spazio e successivamente influenza la società stessa, trasformandosi in una questione socio-politica. Il nostro punto di partenza è stato dunque il padiglione, che è gestito dal Ministero austriaco per la cultura ma è situato in un’area sotto la giurisdizione della Biennale all’interno di una città governata dal Comune di Venezia. Questo lo rende di fatto un luogo dalle caratteristiche eccezionali.
Avevate previsto un possibile rifiuto verso le vostre proposte da parte della Biennale o del Comune?
Fin dall’inizio la nostra intenzione non era quella di mostrare semplicemente i nostri lavori o i meri progetti architettonici. Il nostro obiettivo era modificare lo specifico contesto spaziale, urbano e sociale del padiglione e sapevamo che questo poteva risultare provocatorio. Non direi nemmeno che il progetto è cambiato in conseguenza di questo diniego, perché sapevamo fin dall’inizio che poteva essere respinto. Proprio di questo tratta l’esposizione, dell’interazione con il contesto della città. Inoltre, restituendo anche solo per un tempo limitato alla collettività una piccola parte dell’area dei Giardini, volevamo mettere sul tavolo della discussione la posizione della Biennale, la sua espansione negli spazi cittadini e la sua sostenibilità.
Per il suo Laboratorio del Futuro Lesley Lokko ha parlato di “decolonizzazione” e “decarbonizzazione”. Vi riconoscete in questo paradigma?
La curatrice ha parlato anche di “deistituzionalizzare”, ed è proprio a questa terza “d” che il nostro progetto si rivolge principalmente. Si tratta di un tema fondamentale, soprattutto per le sue implicazioni sulla sostenibilità. Spesso ci comportiamo come se tutto dovesse sempre aumentare e crescere. Tuttavia, abbiamo bisogno di nuove idee non solo su come difendere ciò che abbiamo costruito, ma anche su come condividerlo. Per utilizzare un concetto formulato proprio da Lesley Lokko, la parola “rinunciare” non riguarda solo la cessione di potere. “Rinunciare” a volte significa semplicemente “condividere” o “fare più spazio”. Troppo spesso le persone intendono l’atto del “rinunciare” solo in termini di perdita, quando invece nella maggior parte dei casi si tratta anche di guadagnare qualcosa.