Capodanno more veneto

Il calendario dell'antica Serenissima iniziava il primo marzo
di Camillo Tonini

Era consuetudine nei territori dello Stato Veneto ai tempi della Serenissima che l’anno nuovo cominciasse il primo giorno di marzo.

Nei documenti ufficiali prodotti dalle diverse magistrature, negli avvisi pubblici, negli atti notarili, ma anche nella corrispondenza privata, si aggiungeva accanto alla data del giorno m.v., abbreviazione dell’espressione latina more veneto: alla maniera dei veneti.
Ad esempio il Trattato di Carlowitz, che decretò la pace tra l’Impero Ottomano e gli alleati della Sacra Lega (Austria, Polonia, Russia e Venezia), fu annotato dagli storici ufficiali della Repubblica come avvenuto il 26 gennaio 1698 m.v., ma è da intendersi, fatti salvi il giorno e il mese, accaduto l’anno successivo, il 1699. Così pure, la nascita di Carlo Goldoni, fu registrata nella parrocchia di San Tomà alla data del 25 febbraio 1706 m.v. (il 1707).
Questa cronologia particolare usata a Venezia restava difforme per i primi due mesi dell’anno. More veneto accompagnava, comunque, le date anche nei mesi successivi. Un’ulteriore ostentazione dello Stato veneziano che voleva dimostrare in tutte le sedi e in tutte le occasioni – fin tanto che ne ha avuto la forza – la propria autonomia: «a Venezia si fa così, che gli altri accettino e si adeguino».
L’antica tradizione del more veneto aveva radici molto lontane, riconoscibili anche nei nomi dei mesi a partire da settembre il settimo dopo marzo, quindi ottobre l’ottavo mese, novembre il nono e, infine, dicembre il decimo mese.
Lo slittamento di due mesi dell’anno vecchio non impediva che il calendario ufficiale di Roma, riformato nel 1582 da papa Gregorio XIII, e quello civile di Venezia, convivessero senza problemi e gravi interferenze. Infatti, il 31 dicembre, la notte di san Silvestro, nella Basilica di San Marco, come nel resto dell’ecumene cattolica, si alzava solenne il Te Deum laudamus, l’inno di ringraziamento al Signore per l’anno che stava finendo musicato in più versioni dai maestri della Cappella Marciana.

Ancora prima, alla metà del XIII secolo, la consolidata iconografia religiosa aveva posto la rappresentazione del mese di gennaio in prima posizione nella successione dei mesi scolpita nell’arcone centrale della Basilica di San Marco: un vigoroso uomo con un fascio di legna sulle spalle. Segue febbraio: un vecchio a piedi nudi che si riscalda davanti al fuoco; quindi marzo, personificato da un guerriero armato – Marte che dà nome al mese – con una folta chioma al vento sollevata dal soffio di un corno.
Al pari, un secolo dopo, il dodicesimo capitello del loggiato inferiore di Palazzo Ducale, il simbolo della vita politica e giuridica dello Stato veneziano, offre la rappresentazione scolpita dei mesi con inizio dal ventoso marzo, lo stesso mese con il quale inizia l’anno zodiacale e quello veneziano. Marzo è raffigurato come un giovanetto – Marcior Cornator nominato nell’iscrizione incisa nella pietra – con alla bocca un corno doppio (buccina), come appare ben visibile nella copia ottocentesca del capitello che affaccia sulla Piazzetta, ma mutilo in quella originale esposta all’interno del Museo dell’Opera.Non risulta, peraltro, che a Venezia per il passaggio all’anno nuovo sia romano che more veneto, vi fossero smodati festeggiamenti mondani a cercare alba, che invece erano tollerati nelle ultime sere di Carnevale.

Marzo, bassorilievo, Basilica di San Marco, Venezia

Si arriva al fatidico 1797. Dal 16 maggio di quell’anno, caduta della Repubblica, i Francesi durante il breve periodo del Governo democratico provvisorio, imposero di usare nei documenti ufficiali il loro “calendario rivoluzionario” con i nuovi nomi dei mesi, come disposto da decreto della Convenzione Nazionale del 5 ottobre 1793. Il primo giorno dell’anno doveva coincidere con la data del solstizio di autunno, che nel 1797 cadeva il 22 del mese settembre, ovvero il Primo Vendemmiaio. Questo rimase per Venezia l’unico Capodanno rivoluzionario perché i Francesi, abbandonarono Venezia qualche giorno dopo, il 17 ottobre o se si preferisce il 26 Vendemmiaio. Quando ritornarono nel 1806, dopo il periodo del primo dominio austriaco e fino al 1815, il calendario rivoluzionario era già stato abolito da Napoleone, che nel meritevole tentativo di unificare le diverse consuetudini locali, aveva voluto ritornare al calendario romano e introdurre per tutta Europa, non senza difficoltà e resistenze, anche l’uso del metro come comune unità di misura.
Venezia diventa italiana nel 1866 e da allora ne subisce le sorti. L’avvento dell’Era Fascista pone una nuova modifica del calendario. Dal 1922 l’inizio dell’anno veniva fissato al 28 ottobre, data della Marcia su Roma. Da allora la successione degli anni doveva essere seguita da un progressivo numero romano con l’abbreviazione E.F. a celebrazione del regime per quanti lo sostenevano e a monito per quelli che non ne erano tanto convinti. A Venezia e in tutti i territori compresi nella Repubblica di Salò ci si sbarazzò di questo inquietante segno dei tempi solo dopo il 25 aprile del 1945, data della Liberazione.
Oggi, more veneto rimane una dotta citazione conosciuta da pochi. Se scritto tutto attaccato – moreveneto – corrisponde, però, al nome del sito dell’Archivio di Stato di Venezia dove, in progress, si stanno riversando digitalizzati gli antichi documenti storici lì conservati, perché possano essere letti on line dagli studiosi.
Per tutti vale l’avviso di sapere interpretare m.v.

Tratto da: Venezia News 258-259 Winter Issue, dicembre 2021/gennaio 2022

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