L’ultimo Carpaccio

"San Paolo apostolo" nell'interpretazione di Augusto Gentili
di Franca Lugato

Dopo le Due Dame, il nostro approfondimento sulla mostra in corso a Palazzo Ducale si sofferma su un’altra opera straordinaria che documenta l’ultima stagione pittorica di Carpaccio.

Se non l’avete ancora fatto, vi consigliamo di visitare la mostra Vittore Carpaccio. Dipinti e disegni, aperta fino al 18 giugno a Palazzo Ducale. Pur con qualche importante mancanza, l’occasione è certamente imperdibile. Da parte nostra è un pretesto e uno stimolo per indagare e approfondire attraverso alcune opere emblematiche (nello scorso numero le celebri Due Dame) le innumerevoli sfumature di un Maestro assoluto della pittura veneziana. In particolare, la nostra attenzione si sofferma ora sull’ultima stagione pittorica di Carpaccio, documentata nella mostra da un’opera straordinaria e grandiosa (190×134 centimetri): il San Paolo apostolo, firmato e datato 1520, proveniente dalla Chiesa di San Domenico a Chioggia. La tensione nell’imponente figura del Santo trova il suo culmine nel volto segnato e cotto dal sole, carico di una nuova e realistica espressività, testimone della piena maturità del Maestro. L’iconografia, interessante e inedita nel repertorio di questo Santo, è l’argomento della nostra indagine grazie alla lettura del soggetto fatta da Augusto Gentili (e a noi gentilmente concessa) nel catalogo della mostra Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria, Conegliano 2015.

«[…] Paolo, collocato in un prato moderatamente fiorito ma anche attraversato dagli aridi sentieri della vita virtuosa e difficile dell’apostolo, si presenta con i consueti attributi del libro e della spada. Il libro è però insolitamente aperto e la pagina ben leggibile riporta due versetti della lettera ai Galati (2, 20: Vivo ego jam non ego vivit vero in me Christus; 6, 17: Stigmata Jesu Christi in corpore meo porto), interpretati in immagine con l’eccezionale dettaglio del crocifisso piantato nel cuore di Paolo. Il pittore, per quel che gli compete, dichiara la sua adesione al dettato paolino scegliendo come cartellino una lettera accuratamente piegata. Questo San Paolo che porta nel suo corpo le ferite di Cristo, con l’immagine del crocifisso e le parole del libro, rimanda a una storia importante di politica della devozione, di lontana origine ma di infinita attualità: l’impegno dei domenicani per sottrarre a Francesco e ai francescani l’esclusiva delle stimmate, rivendicando per Paolo le mistiche piaghe – proprio sulla scorta di Galati 6, 17 – in modo da creare un precedente “giuridico”, autorevole quanto neutrale, per quelle presunte di Caterina da Siena. Il “processo castellano”, che negli anni 1411-1416 avvia il percorso di canonizzazione di Caterina, gloriosamente concluso nel 1461, è così denominato perché si tenne in Venezia nel convento dei domenicani osservanti di San Domenico di Castello. Ne fu protagonista il frate Tommaso Caffarini, senese anche lui, che tra le altre cose si preoccupò di riassumere in una Legenda minor la biografia cateriniana di Raimondo da Capua – ovviamente Legenda maior (1398) – integrandola inoltre con un Supplementum; la sua minuziosa deposizione al processo diventò un vero e proprio trattato sulle stimmate. Il nodo della faccenda sta in un paio di distinzioni prevedibilmente cavillosissime: Francesco riceve le stimmate, Paolo – è lui stesso a dichiararlo – le porta; le stimmate di Francesco sono visibili, quelle di Paolo sono invisibili. Le stimmate di Caterina sono portate e invisibili come quelle di Paolo. È possibile che il San Paolo di Carpaccio si trovasse in origine nel luogo più appropriato, San Domenico di Castello, e che passasse poi in San Domenico di Chioggia, presidio anche questo dell’osservanza domenicana; come è possibile che fosse pensato fin dall’inizio per quest’ultima sede. Nessuna di queste possibilità è peraltro sostenuta da prove documentarie, anche se una di esse è senza dubbio quella buona. Resta che l’ultimo e tanto maltrattato Carpaccio è ancora al massimo dell’impegno di invenzione e di esecuzione – come ormai dovremmo aver capito – quando è chiamato a lavorare in un contesto di dibattito culturale ad alto livello, e sollecitato a dir la sua, non come testimone passivo ma come interprete consapevole».

 

Immagine in evidenza: Vittore Carpaccio, San Paolo (firmato e datato 1520), Chiesa di San Domenico, Chioggia

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