Nel nome della madre

Di madre/padre in figli/e
di Roberto Pugliese
  • anteprima 2022

La genitorialità è una categoria della natura ricorrente nelle tematiche di numerose edizioni della Mostra. Senza risalire agli albori, la memoria rievoca ad esempio la pasoliniana Mamma Roma (1962), o addirittura il capolavoro di Pudovkin Mat’ (La madre, 1926), riproposto nella retrospettiva sovietica curata da Francesco Savio nel ‘63.

Più recentemente ricordiamo lo sconvolgente dittico Pietà e Moebius (2012 e ‘13) del compianto Kim Ki-duk (presente ora, dovuto omaggio postumo, Fuori Concorso con il suo ultimo film Kõne taevast- Call of God, il cui montaggio non è da lui firmato per la scomparsa improvvisa) o il delirante, apocalittico Madre! di Darren Aronofsky (2017).
Nella 79. edizione il tema è trasversale alle sezioni e pressoché invasivo. In Concorso proprio Aronofsky vi ritorna con The Whale, dal dramma di Samuel D. Hunter, stavolta indagando sulla tormentata paternità di un uomo afflitto da obesità e sul suo rapporto con la figlia adolescente (la Sadie Sink di Stranger Things). Il tragico mito di Medea, madre infanticida, aleggia invece in Saint Omer della franco-senegalese Alice Diop, cui si contrappone idealmente, dall’Iran, Shab, Dakheli, Divar (Beyond the Wall) di Vahid Jalilvand, dove una mamma cerca disperatamente il figlio di quattro anni smarritosi durante una manifestazione operaia. E se White Noise di Noah Baumbach, film d’apertura, L’immensità di Emanuele Crialese e (fuori concorso nella SIC) il francese Pinned Into a Dress di Gianluca Matarrese e Guillaume Thomas sembrano concretizzare l’aforisma tolstojano “Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, in altre pellicole, come ad esempio En los márgenes (Orizzonti) dello spagnolo Juan Diego Botto, social thriller con Penélope Cruz (protagonista anche in Crialese), proprio nel recupero del ruolo genitoriale si aprono spiragli di speranza. La necessità di ritrovare un rapporto tra figlie non più giovani e madri anziane e sofferenti affiora poi sia nella ghost-story The Eternal Daughter di Joanna Hogg, che in Monica del nostro Andrea Pallaoro (lo si ricorderà per un altro straordinario ritratto al femminile, Hannah, 2017, Coppa Volpi a Charlotte Rampling). Quanto a Florian Zeller, dopo il suo folgorante esordio The Father con Anthony Hopkins ecco ora The Son, film in cui la comparsa di un adolescente problematico mina i difficili equilibri di un’altra famiglia (in)felice. Ragazze-madri, madri immigrate, figli in pericolo, padri celebri e superficiali popolano ancora Orizzonti, da Vera di Tizza Covi e Rainer Frimmel a Obet’ (Victim) di Michal Blaško, da Blanquita di Fernando Guzzoni a Aru Otoku (A Man) di Kei Ishikawa, mentre nelle Giornate degli Autori (declinate fortemente al femminile) Les damnés ne pleurent pas dell’anglo-marocchino Fyzal Boulifa celebra nel tormentato, ma necessario, legame madre-figlio l’unica via di salvezza per sopravvivere alle lacerazioni della contemporaneità.

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