Casanova sono io

Un racconto di Alberto Fiorin
di Alberto Fiorin

La sua avventura su due ruote da Venezia alla Cina in occasione dei 700 anni della morte di Marco Polo gli ha valso il titolo di “Veneziano dell’anno 2024”. Laureato in Storia con una tesi su “Il gioco d’azzardo a Venezia nel Settecento”, Alberto Fiorin ha inevitabilmente incrociato la storia e la leggenda di Giacomo Casanova e qui ce ne offre un suo personale ritratto…

Dopo aver compiuto i miei studi e abbandonato a Roma la carriera ecclesiastica, iniziata appena quella militare, poi interrotta a Corfù, e datomi all’avvocatura, che prestissimo lasciai per avversione, visitai tutta l’Italia, le due Grecie, l’Asia Minore, Costantinopoli e le più belle città della Francia e della Germania, e nel 1753 tornai nella mia Patria. Vi giunsi fornito di una buona cultura, con una discreta stima di me stesso, sventato, avido di piaceri, nemico di ogni previdenza, persuaso di poter parlare di qualsiasi argomento in ogni senso, allegro, sfrontato, vigoroso e, in testa a una schiera di amici del mio stampo, pronto a farmi beffa di qualsiasi cosa sacra o profana che fosse, a chiamar pregiudizio tutto ciò che non fosse puramente naturale, a far della notte giorno, a rispettare solo l’onore, il cui nome avevo sempre sulle labbra più per orgoglio che per sottomissione

Giacomo Casanova

Stregone, ladro, spia, tosatore di monete, traditore, baro, calunniatore, ateo, falsificatore di cambiali, contraffattore di grafie, imbroglione, spione, furfante, cabalista, blasfemo, alchimista. In poche parole, il più turpe degli uomini. Questo è quando si è detto e scritto di me. Signori – e soprattutto signore – non ascoltate queste vergognose menzogne, non crediate a siffatte turpi accuse totalmente prive di fondamento: esse sono state fatte circolare da persone meschine che non mi conoscono affatto o che si vogliono vendicare dopo aver subìto la mia giusta ira.
Eppure, in un certo senso, queste accuse perfide, sconce, vili, false e oscene mi fanno onore.
Sì, fanno onore a me, Giacomo Girolamo Casanova, alias cavaliere di Seingalt, degno figlio di mia madre Zanetta La Buranella e di mio padre Gaetano Giuseppe Giacomo Casanova.
Tanti nemici tanto onore si dice e nella mia lunga e travagliata vita ho veramente avuto tanti nemici. In quanto all’onore… ai posteri l’ardua sentenza.
A me basta solo dire che sono sempre stato amante della libertà, della verità, dell’amore e questo mi ha creato non pochi fastidi. Chi crede in questi ideali, infatti, trova sempre molti maldicenti pronti a ostacolare, a calunniare, a colpire vilmente alle spalle. E io, Giacomo Casanova, incurante di tutto ciò, sono sempre andato dritto per la mia strada e nella mia esistenza ho gioito e goduto suggendo ogni preziosissima stilla della linfa che sgorgava dalla vita e inebriandomi col suo delizioso sapore, col suo eccitante aroma.
Ma chi è stato Casanova, in realtà, anzi chi è?
Lasciatelo dire a me: mi conosco da una vita!

La mia storia dimostrerà che siamo degli imbecilli quando cerchiamo fuori di noi le cause dei nostri guai, perché sono tutte, direttamente o indirettamente, in noi stessi

Abbastanza ricco, dotato da madre natura di un fisico che faceva colpo, giocatore nato (sono stato definito a buon diritto “il più bel giocatore d’Europa”), prodigo scialacquatore, gran parlatore sempre mordace, niente affatto modesto, audace, donnaiolo impenitente, pronto a fare lo sgambetto a qualsiasi rivale, amante solo delle compagnie divertenti. Tutto questo sono stato: non è quindi da stupirsi se riuscivo detestabile un po’ a tutti.

Francesco Maria Narice, Presunto ritratto di Giacomo Casanova a 30-35 anni ca. (1760 circa), Collezione Bignami, Genova

Del resto la mia vita è stata un lungo inseguimento: l’ho sempre cercata la vita, anche se spesso è stata la vita a trovare me. E io non sono scappato. Mai. Né di fronte a una donna, né di fronte a un marito tradito, né di fronte a una punta di fioretto, né davanti a una pistola sguainata, né di fronte all’ennesimo assalto amoroso di qualche giovane insaziabile baccante.
È vero, a volte non mi sono fatto trovare, mi è capitato di barare, qualche altra volta ho dovuto lasciare la città nel buio della notte per sfuggire a degli sbirri sguinzagliati dalle false accuse dei miei nemici, ma la prigione mi sta troppo stretta.
Lasciatelo dire a me, che la libertà ho dovuto guadagnarmela scappando dai tetti della più infame e dura prigione d’Europa, i Piombi, dove d’estate il caldo non ti fa respirare, d’inverno il freddo ti secca le budella, l’umidità corrode i polmoni e i sorci grossi come gatti rosicchiano il pagliericcio fino a farlo scomparire. Ma questa, signori, è la civilissima patria mia, la Serenissima Repubblica di Venezia, tanto civile e tanto serena che si sta mettendo il cappio al collo con le sue proprie mani di nobile decaduta. Dio solo può sapere se la fine è vicina! Io credo proprio di sì e me ne dispiace, ma solo per i veri veneziani e non certo per quelle quattro parrucche incipriate che decidono di non decidere pensando di pensare.
Se esiste una giustizia a questo mondo, questo triste spettacolo finirà tra breve. Lo voglia l’Apostolo Giacomo di Compostella di cui porto, credo degnamente, il glorioso nome!
In quanto alle donne… ah, le donne!

Quanto sono belle le donne, quanto è bello conquistarsi le loro grazie, quanto è bello l’amore che ti gonfia le vene, che si rinnovella ogni notte, rito magico con un morbido altare su cui sacrificare al dio Eros la più intima essenza, la propria anima!

Quanto sono belle le donne, quanto è bello conquistarsi le loro grazie, quanto è bello l’amore che ti gonfia le vene, che si rinnovella ogni notte, rito magico con un morbido altare su cui sacrificare al dio Eros la più intima essenza, la propria anima! Le donne mi hanno sempre cercato, mi hanno sempre amato e a mia volta io ho cercato e amato loro. E non ho fatto mai distinzione di classe, di età, di condizione, soddisfacendo sempre, credetemi, le loro esigenze e lasciandole sempre soddisfatte. Ballerine, contesse, puttane, attrici, marchese, cameriere, viaggiatrici, monache, peccatrici, figlie, mamme, nonne, ingenue, lascive, timide, ladre, belle, brutte (certo, anche loro hanno diritto ad essere felici!), tutte le ho amate e ancor mi do da fare, seppur vecchio e con meno vigore nelle vene. E devo dire che i miei gusti sono sempre gli stessi, seppur oggi il frutto acerbo stuzzica il mio gusto più di quello maturo.
Certo, le donne mi hanno ripagato sempre con amore e qualche volta, oltre una ventina, con un regalo che mi costringeva a sottopormi alle cure del chirurgo e a stare qualche settimana a letto in riposo. Ma queste soste servivano a rendermi ancor più appetitoso il piatto in cui avidamente mi ributtavo appena ultimato il digiuno imposto dal medico.
Ah, se ripenso alla Balletti, alla Tintoretta, a Teresa, alla Ninetta, a donna Lucrezia, a Caterina, alla Barberina, ad Agata, alla mia carissima M.M., a quei bei seni tondi, freschi, al fruscio delle vesti e delle gonne che si sfilano, alla cipria, a quel magico vello che custodisce il supremo tesoro.
Pensando a certe avventure mi tornano subito alla memoria alcuni versi del grande poeta Giorgio Baffo, intimo amico di mio padre e ultimo rampollo di un’antica famiglia patrizia, cui devo la vita perché, avevo allora otto anni, convinse mia madre a consultare a Padova l’illustre medico Macop che mi salvò da morte sicura causata da una fastidiosa e perdurante emorragia.
Grazie, dunque, caro Giorgio Baffo, poeta nel più lubrico dei generi, ma grande e senza pari: i tuoi poemi, per osceni che siano, terranno sempre vivo il tuo nome. Gli Inquisitori di Stato, col loro zelo moralistico, contribuiranno alla tua fama e perseguitando i tuoi manoscritti li faranno diventare preziosi e conosciuti ovunque. Son convinto che fin da bambino hai riconosciuto in me, attraverso il mio sguardo, un tuo degno erede e io sono fiero di poterti considerare, anche adesso che non sei più tra noi, tuo devoto estimatore e amico sincero.

Jan Berka, Ritratto di Casanova, 1788

Tornando alla storia della mia vita, alla “histoire de ma vie”, non mi sono mai fermato un istante, ho sempre cercato di fare ed ho saputo cambiare seguendo instancabilmente le mie inclinazioni.
Da giovane ho frequentato i corsi di legge all’Università di Padova, ho fatto pratica in uno studio legale, ho intrapreso la carriera ecclesiastica, ho fatto parte del glorioso esercito della Serenissima, ho accompagnato in missione diplomatica l’ambasciatore a Costantinopoli, ho fatto il suonatore di violino a teatro, ho ricoperto incarichi diplomatici segreti per conto del Re di Francia, ho fatto il giocatore di professione, sapendo bene come riuscire ad essere amico della fortuna, ho gestito a Parigi la Regia Lotteria della Scuola Militare, ho insegnato, fatto il bibliotecario, ho composto opere teatrali, drammi, commedie, romanzi, saggi storici, ho tradotto testi classici come l’Iliade, ho scritto trattati di matematica e numerologia, ho aiutato Lorenzo da Ponte a scrivere il libretto dell’opera Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart.
Tutto questo e tanto altro son io.
Amante della mia patria ma cittadino del mondo, per amore e per forza, ho vissuto a Venezia, L’Aja, Rotterdam, Parigi, Lione, Monaco, Augusta, Genova, Livorno, Firenze, Pisa, Roma, Napoli, Torino, Pavia, Milano, Londra, Berlino, Riga, Pietroburgo, Mosca, Varsavia, Dresda, Lipsia, Praga, Magonza, Colonia, Spa, Liegi, Toledo, Saragozza, Sagunto, Valenza, Barcellona, Perpignan, Nîmes, Aix-en-Provence, Lugano, Trieste, Ancona, Gorizia, Udine, Bolzano, Francoforte, Aquisgrana. Di tutte queste città ho conosciuto e frequentato i salotti più famosi ed importanti, i palazzi più sontuosi, le bettole più losche, i casini più sordidi, i teatri sfavillanti, i postriboli, gli alberghi lussuosi e le pensioni più decrepite. Ho dialogato con facchini, con sovrani come Federico il Grande di Prussia, con regine come Caterina II zarina di tutte le Russie, con serve, con truffatori patentati e con cardinali, col conte di Cagliostro e con alcuni tra i migliori ingegni del secolo come il matematico D’Alembert, il conte Algarotti, il poeta Metastasio, l’archeologo Winckelmann.
Ovunque sia stato ho lasciato un po’ di me, anche se Venezia con le sue nebbie, i suoi canali e le sue calli mi ha sempre allettato e stregato come una sirena ammaliatrice, soprattutto quando sono stato costretto da una iniqua sentenza a starne distante per più di diciott’anni.
Ma nonostante questi problemi, questi affanni, la mia vita è stata per certi versi splendida e se mi mettessi a raccontare ai miei molti nipoti, legittimi e illegittimi, anche ai molti che non ho mai conosciuto, tutte le storie capitatemi nell’arco di questi sessant’anni, essi diverrebbero certamente uomini fatti e con la barba assai prima di vedere il loro nonno finire i racconti.
Ma ora vedo che il pranzo è servito e vi lascio cenare in pace.
Io mi ritiro e vado a intrattenere la contessa Ottoboni cui avevo promesso una partita di tric-trac. E chissà che dopo il tric… non ci scappi anche il trac.

Immagine in evidenza: Francesco Giuseppe Casanova, Ritratto di Giacomo Casanova (disegno), 1750-1755 circa
Museo di Storia dello Stato, Mosca – Courtesy Carnevale di Venezia 2025
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