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L'incontro mancato tra Casanova e Mozart
di Nicolò Ghigi

Nell’anno che celebra Giacomo Casanova, incuriosisce la diceria, spesso riproposta, di una qualche relazione di questi con Wolfgang Amadeus Mozart. In realtà, stando alle fonti in nostro possesso, pare che il destino mai abbia voluto che l’avventuriero e poligrafo veneziano incontrasse di persona il genio della musica del secolo XVIII.

Eppure, le occasioni non sarebbero certo mancate, nonostante una differenza d’età di circa trent’anni: avevano frequentato le stesse città, da Londra a Vienna, dove per oltre un anno il veneziano aveva lavorato come segretario dell’ambasciatore Foscarini, frequentando gli stessi salotti del salisburghese, ed erano peraltro entrambi aderenti alla massoneria. Tuttavia, a destar maggiore curiosità nei posteri è stato il contemporaneo soggiorno dei due a Praga nell’autunno del 1787. In quei mesi, difatti, è ben attestata l’amicizia dell’ormai sessantenne Casanova con il librettista cenedese Lorenzo Da Ponte, allora impegnato negli ultimi ritocchi prima della messa in scena del Don Giovanni.

Casanova ama – perdutamente, irrimediabilmente ama – tutte le donne con cui ha a che fare; Don Giovanni le usa, invece, senza amarle, anzi disprezzandole. Casanova vorrebbe sposarle tutte, tenersele tutte per sempre, se non fossero loro ad abbandonarlo; Don Giovanni deve sfuggirle tutte, dato che nessuna lo abbandonerebbe mai
Franco Cuomo

Tale singolare coincidenza, complice forse la relativa scarsità di fonti primarie su quel periodo (le memorie del veneziano si arrestano al 1774, mentre Mozart in quegli stessi anni dirada la corrispondenza coi familiari), ha dato origine a una colluvie di aneddoti e congetture su un incontro tra i due. Così v’è chi sostiene che Casanova abbia assistito alla prima del 29 ottobre al Nostitz Theatre; ma vi è soprattutto chi, con ben maggiore volo di fantasia, basandosi sulla coincidenza che Da Ponte avesse dovuto lasciare Vienna in fretta e furia appena pochi giorni prima della messa in scena, ha addirittura ipotizzato che Casanova abbia aiutato il salisburghese riscrivendo qualche punto debole del libretto. Questa diceria sembrò trovare attestazione documentale quando, ormai un secolo fa, il musicologo boemo Paul Nettl rinvenne fra le carte praghesi di Casanova un autografo del veneziano, contenente due varianti – ricche di cancellature e riscritture, con sembianze di una minuta – ai versi di Leporello nel quintetto dell’atto secondo, uno dei picchi di tensione comica dell’opera. Mentre nel libretto universalmente noto l’astuto servitore si giustifica davanti alle minacce invocando vilmente la compassione dei presenti (Ah pietà, signori miei! Ah pietà, pietà di me!), così suonerebbe l’incipit della giustificazione di Leoprello nella riscrittura casanoviana: Incerto, confuso / scoperto, deluso / difendermi non so / perdon vi chiederò.

Il mito della collaborazione tra i due geni fu tale da suggestionare persino dotti quali il Dent, che nella sua classica Mozart’s opera (Oxford 1913-47) dà per «dimostrato in maniera quasi certa» l’intervento del veneziano sul libretto, fornendo anche una supposizione sull’origine di tale intervento, che sarebbe stato causato dalle lamentele di alcuni cantanti circa la distribuzione delle arie solistiche (problema più volte lamentato dal compositore nelle sue lettere, ma senza alcun riferimento preciso per la scena in questione); Mozart avrebbe poi mosso delle osservazioni a Casanova, onde egli avrebbe riscritto la scena così come la conosciamo: ipotesi tanto affascinante quanto totalmente priva di basi documentarie, cosa che lo stesso Dent è costretto ad ammettere poco più avanti. E tuttavia tale ricostruzione si è trasmessa ad altri studiosi, divenendo curiosamente un topos della letteratura sull’opera e nelle biografie del Da Ponte. Come ha ben notato Giovanna Gronda nella sua edizione critica del Don Giovanni (Torino 1995), tuttavia, tali ricostruzioni non tengono conto della storia editoriale del libretto di Da Ponte, che ebbe tre diverse stampe (Praga 1787, Vienna 1787 e Vienna 1788) e diverse varianti che Mozart dimostra di conoscere nella sua partitura autografa.
La studiosa ivi confronta stilisticamente la versione stampata, coerente con il resto dell’impianto dell’opera e in linea con l’esperienza librettistica del Da Ponte, con i versi casanoviani, che risultano invece del tutto disarmonici rispetto al quadro drammatico, e vengono bollati addirittura come dilettanteschi. Essi sarebbero dunque derubricabili a una prova di versificazione del tutto avulsa da una rappresentazione scenica, come spesso capita di fare ai dotti prendendo spunto da ciò che vedono o sentono, che è il ben noto esercizio della variazione sul tema. L’analisi, confortata da un accurato esame stilistico e contenutistico del testo, sembra essere probante, ed è stata così accolta dagli studi successivi, che hanno al più dibattuto su cosa possa aver colpito Casanova nella scena in questione tanto da volerla riscrivere, o in che modo egli abbia voluto trasformare il carattere del servitore nella sua variante.
La nota leggenda popolare, che aveva trovato non solo accoglimento fra gli studiosi più insigni, ma finanche dignità letteraria nella più volte ristampata Mozart Novelle di L. Fürnberg (Berlin 1952), appare ordunque destituita di ogni fondamento. E tuttavia potremmo dedurre dall’autografo che Casanova, se non effettivamente assistito alla prima del Don Giovanni, ne abbia almeno letto con attenzione il libretto, e questo deve aver suscitato in lui un certo interesse se non solo arrivò a produrre la testé discussa variazione, ma forse anche a farne un velato (e involontario?) riferimento quando nell’Histoire narra del suo servo Leduc che si veste con abiti da signore per compiere le personali gesta amorose, rimembrando da vicino Leporello che nell’opera scambia la sua identità col padrone.

Immagine in evidenza: Wolfgang Amadeus Mozart nel ritratto postumo di Barbara Krafft (1819)
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