Emma Ursich, Segretario generale di The Human Safety Net ci guida nel cuore della mostra A World of Potential, alle Procuratie Vecchie, e ci svela la Fondazione stessa e le attività che svolge in tutto il mondo.
The Human Safety Net è un movimento globale di persone che aiutano altre persone, attivo in 24 Paesi al fianco di oltre 62 ONG. La sua missione è liberare il potenziale delle persone che vivono in condizioni di vulnerabilità affinché possano migliorare le condizioni di vita delle proprie famiglie e comunità. I programmi della Fondazione, iniziata dal Gruppo Generali nel 2017, sostengono le famiglie vulnerabili con figli piccoli (0-6 anni) e l’integrazione dei rifugiati attraverso il lavoro e l’imprenditorialità. La Casa di The Human Safety Net è da poco più di nove mesi alle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, che Generali ha aperto al pubblico per la prima volta in 500 anni di storia dopo il radicale e bellissimo restauro ad opera di David Chipperfield Architects Milan.
All’interno è aperta al pubblico l’esposizione interattiva permanente A World of Potential, che conduce i visitatori in un viaggio alla scoperta dei propri punti di forza, perseguendo l’obiettivo di lavorare su impatto sociale e sostenibilità. Nella Casa di The Human Safety Net, al terzo piano, trovano spazio anche il Café Illy, un’accogliente area di co-working con un’incredibile vista su Piazza San Marco attraverso gli storici oculi, e un modernissimo auditorium.
Abbiamo incontrato Emma Ursich, Segretario Generale della Fondazione The Human Safety Net e Responsabile della Corporate Identity del Gruppo Generali, che ci ha guidato nel cuore della mostra e della Fondazione stessa, proponendoci uno sguardo particolare ed attento verso il futuro. Un invito a essere più inclusivi verso noi stessi e gli altri in un momento storico complesso.
Come nasce l’idea della Fondazione The Human Safety Net e quale funzione svolge nell’ambito delle attività del Gruppo Generali?
Generali accompagna le persone nei loro progetti con l’obiettivo di essere “partner di vita”. La Fondazione The Human Safety Net è nata in sintonia con questa idea, ponendosi come priorità il raggiungere e accompagnare i soggetti più vulnerabili, in particolare coloro i quali vivono al di fuori di qualsiasi rete di protezione, per consentire loro di sviluppare un progetto di vita altrimenti difficilmente realizzabile. Il tutto ben restituito da un assunto che abbiamo voluto riproporre quale componente identitaria del nostro progetto anche nel percorso espositivo A World of Potential, che si sviluppa qui alle Procuratie Vecchie, la nostra nuova “Casa”: «Tutti hanno un potenziale, ma non tutti sono in grado di esprimerlo». I nostri programmi per i rifugiati e per le famiglie che vivono in contesti più vulnerabili cercano di guidare le persone per un periodo determinato della loro vita apportandovi un effetto trasformativo, in modo che quando ci congediamo da loro, dopo un anno o diciotto mesi di percorso insieme, non siano più nella stessa situazione in cui li avevamo incontrati. Questo è l’obiettivo principale che ci poniamo, la nostra missione.
Può spiegarci più nel dettaglio come opera The Human Safety Net?
La Fondazione è operativa da cinque anni, durante i quali sono state già raggiunte e seguite oltre duecentomila persone tra bambini, genitori e rifugiati. Il programma dei rifugiati è nato così: eravamo nel pieno del conflitto siriano, un momento di straordinaria crisi umanitaria con milioni di profughi in fuga. Ci siamo chiesti immediatamente che cosa avrebbe potuto fare Generali davanti a una situazione di tali proporzioni attraverso The Human Safety Net. In quel momento l’attenzione era focalizzata sull’aspetto emergenziale, quindi riparo, cibo e altre necessità primarie; tuttavia, abbiamo riflettuto su come dopo la grande attenzione iniziale la tensione spesso vada progressivamente spegnendosi. Ci siamo così concentrati sull’impegno a promuovere un’integrazione sostenibile nel tempo, offrendo loro la possibilità di inserirsi a pieno titolo nel contesto socio-economico della propria nuova comunità di riferimento, attraverso il lavoro, autonomo o dipendente, per poter provvedere a sé stessi e alle proprie famiglie. Quindi il lavoro come obiettivo primario, sia favorendo chi aveva già un’esperienza pregressa o una qualche idea di business, accompagnandolo nella creazione di una microimpresa, sia affiancando altri nel trovare un impiego, anche attraverso corsi di formazione. Questo è il primo nostro progetto per i rifugiati attivo in quattro Paesi: Italia, Francia, Germania e Svizzera. Così abbiamo accompagnato più di 3.000 persone nella ricerca di una ritrovata autonomia e favorito la creazione di 300 microimprese.
L’altro progetto, ad oggi quello più esteso e attivo in 24 Paesi, si focalizza sulle famiglie a rischio esclusione sociale o che vivono in contesti di vulnerabilità con bambini da zero a sei anni, e si concretizza nell’affiancare i genitori nel periodo in cui i bambini non sono ancora scolarizzati. Per sostenere i bambini nel loro sviluppo, lavoriamo con i genitori cercando di fornire una rete, un sostegno che consenta loro di svolgere al meglio il mestiere non certo facile di genitore nelle situazioni di grande stress e difficoltà in cui vivono. Interveniamo in questo senso perché è nei primi anni di vita che il cervello dei bambini si sviluppa per il 90%, si gettano le basi per il futuro sviluppo del potenziale umano. Nei primi anni di vita infatti è fondamentale sostenere il ruolo di quello che definiamo “caregiver”, ovvero la persona di riferimento più importante per il bambino, che solitamente è la mamma, ma non sempre. Un buon inizio vita può fare la differenza in termini di futura scolarità, opportunità di impiego e di salute mentale e fisica della persona: lo dimostrano le ricerche scientifiche.
In questo percorso veramente impegnativo, che va oltre le manifestazioni di solidarietà, come strutturate la vostra attività sul campo?
Lavorando assieme ai colleghi nei vari Paesi identifichiamo i migliori specialisti e comunità dove opera Generali, organizzazioni non governative o imprese sociali già attive in questo settore, costruendo con loro partnership pluriennali. Siamo andati oltre l’approccio della filantropia classica, quello di un puro contributo finanziario, per offrire invece un accompagnamento a tutto tondo, un reale e concreto sostegno alle persone e alle strutture per sostenerle nell’aumentare l’impatto attraverso le competenze, le persone, gli spazi, la creazione di una comunità aperta e di confronto, anche in chiave di partnership e creazione di reti tra diverse organizzazioni che condividono gli stessi obiettivi.
Come questa azione della Fondazione The Human Safety Net dialoga con le molteplici realtà con cui viene in contatto?
Stiamo sviluppando i nostri progetti in ben 24 Paesi. L’idea è quella di porsi in ascolto per comprendere al meglio necessità e bisogni delle persone, individuando al contempo organizzazioni che siano già presenti e attive sui territori per offrire loro il nostro sostegno, andando così a integrare e accelerare l’impatto. Questo significa per noi non andare a sovrapporsi o a replicare iniziative già attive, ma piuttosto coprire segmenti di intervento scoperti con specifiche azioni che permettano di unire delle attività che vanno avanti indipendentemente, rendendole più organiche e sostenibili. È fondamentale investire sulla preparazione dei formatori, che magari possono essere gli stessi assistenti sociali del paese interessato, dando loro, tramite queste organizzazioni partner, la possibilità di acquisire ulteriori competenze o servizi che oggi non fanno ancora parte dell’offerta. Altre volte, invece, abbracciamo progetti costruiti su forme di cofinanziamento tra privato e pubblico; in questi casi la nostra Fondazione assicura un contributo economico che va ad affiancarsi a quello pubblico, raddoppiando l’ammontare complessivo del finanziamento permettendo ai vari progetti di raggiungere, aiutandole, molte più persone. Ascoltiamo, impariamo e canalizziamo i nostri sforzi in quei luoghi e in quei momenti dove vi è la necessità di intervenire per migliorare sostanzialmente le condizioni di vita: questo è il nostro obiettivo, sempre.
Venezia al centro delle attività del Gruppo: prima il restauro dei Giardini Reali con Venice Gardens Foundation, poi la restituzione pubblica a seguito di uno spettacolare restauro delle Procuratie Vecchie dopo cinque secoli di ‘inaccessibilità’. Come questo recupero storico e architettonico diventa promotore di rinnovamento culturale, economico e sociale della città?
Venezia, città dal forte valore simbolico, è il fulcro dell’attività della Fondazione The Human Safety Net, il centro di gravità attorno al quale ruota tutto quello che poi si va a condividere nei diversi Paesi e comunità in cui ci troviamo ad operare, una piattaforma di dialogo e di scambio aperta al mondo. Riguardo alle Procuratie Vecchie e al prezioso restauro realizzato da David Chipperfield Architects, Generali ha inteso non solo recuperare uno spazio storicamente iconico della città, ma anche dargli nuova vita con una missione – quella di The Human Safety Net – coerente anche con le attività che in origine qui venivano svolte, e dunque una missione contemporanea, internazionale e aperta sia alla città stessa che al resto del mondo, come è nella natura di Generali. La sfida che abbiamo voluto affrontare è stata quella di mantenere la storicità del luogo e al contempo dare accessibilità e contemporaneità agli spazi e ai temi di cui qui stiamo discutendo. Temi di respiro internazionale, come per esempio quelli proposti dalle Nazioni Unite, accanto ad altri di carattere locale, legati al territorio. Per noi questo è uno spazio di discussione sui temi della sostenibilità e dell’inclusione sociale, in cui creare un programma di attività che coinvolga diversi tipi di pubblico, che mescoli persone diverse per età e provenienza, andando a creare un dialogo che promuova la conoscenza e stimoli una riflessione collettiva. Sono trascorsi solo pochi mesi dall’apertura della Casa della Fondazione e siamo davvero molto contenti di come è stata accolta.
L’esposizione A World of Potential offre un nuovo approccio conoscitivo ai modelli di sviluppo propri di The Human Safety Net, incentrati sulla consapevolezza delle capacità individuali al servizio attivo delle comunità. Ci racconti questo percorso che mira a coinvolgere il pubblico per la creazione di una The Human Safety Net Community responsabile e molto attiva.
Il percorso è nato da un intenso e profondo ragionamento tra noi e i nostri partner su come si possa agevolare l’espressione di qualcosa di intangibile – quale è il potenziale umano – e di conseguenza di come si possa e si debba raccontare al pubblico la nostra attività di accompagnamento delle persone grazie ai nostri programmi. Volevamo evitare di proporre qualcosa di autoreferenziale, di mero racconto di dove siamo e cosa facciamo nel mondo, bensì cercare di portare le persone a scoprire il meglio in sé stessi e negli altri creando una riflessione virtuosa sulle potenzialità che ciascuno ha e di come la loro messa a fattor comune sia la chiave per una crescita di tutti. È nata così, allora, l’idea di realizzare questo percorso espositivo giocoso, che invita a riflettere nella misura in cui ognuno desidera farlo. Per creare ciò abbiamo cercato persone specializzate in questo ambito. Abbiamo coinvolto l’impresa sociale tedesca Dialogue Social Enterprise e lavorato con i suoi fondatori, Andreas Heinecke e Orna Cohen. Da qui è nato un percorso espositivo la cui architettura narrativa poggia sulla metodologia della psicologia positiva per conoscere sé stessi e i propri punti di forza promossa dello psicologo americano Martin Seligman e applicata in tantissimi contesti culturali. Un metodo forte di un’ampissima casistica e caratterizzato da un approccio neutro rispetto all’appartenenza culturale, quindi veramente internazionale e aperto a qualsiasi tipologia di persona.
Siete già in grado di fare una prima stima di questi primi cinque anni della Fondazione e di questi otto mesi delle Procuratie?
Siamo un gruppo piccolo ma estremamente motivato e abbiamo avuto grande sostegno da parte di tutta la rete di partner e colleghi, che svolgono un altro lavoro ma che, nonostante ciò, trovano il tempo per dare una mano in tanti modi diversi. Così, grazie a questo sforzo collettivo, siamo riusciti a conseguire i nostri obiettivi in questi primi cinque anni di appassionante lavoro. Questo, unito al contesto sempre più difficile esterno, ci spinge a fare di più in futuro. Per quanto riguarda le Procuratie Vecchie, siamo contenti perché più di quarantamila visitatori, tra singoli, famiglie e gruppi, hanno già avuto modo di fare l’esperienza di A World of Potential. Registriamo una grande variabilità di reazioni e un’alta curiosità da parte della maggioranza dei visitatori. Noi rimaniamo costantemente in ascolto, ricercando un confronto continuo con chi entra in questi nuovi spazi. A tal scopo abbiamo scelto di avere dei mediatori culturali che interagiscono e accompagnano il pubblico dando loro qualche elemento di contesto in più. A fine visita è possibile rimanere in contatto per approfondire i temi più rilevanti di quanto visto e interiorizzato, oppure, nel caso di visitatori stranieri, per ricevere informazioni riguardo le attività della nostra Fondazione nei loro Paesi. Metà del prezzo biglietto di ingresso viene devoluto al progetto Rifugiati o a quello Famiglie: il visitatore può scegliere a quale dei due progetti destinare il proprio contributo entrando così direttamente a far parte della rete. Avete avviato in questi mesi collaborazioni con diverse realtà locali, italiane e internazionali, al fine di organizzare e ospitare incontri e convegni che possano arricchire e allargare la consapevolezza del nostro presente e la definizione del nostro futuro prossimo.
In quale direzione state procedendo a riguardo e quali sono i programmi che proporrete nei prossimi mesi?
Dopo i primi mesi che hanno inevitabilmente coinciso con una necessaria fase di apprendimento e di assestamento al fine di oliare al meglio tutti gli ingranaggi operativi della macchina, abbiamo lavorato al calendario degli eventi 2023 individuando una ricca proposta di opportunità che guardando in diverse direzioni anche geografiche, quindi rivolgendo la nostra attenzione sia agli scenari internazionali sia a quelli territoriali, più specificamente alla comunità di Venezia. L’obiettivo è di metterci in rete con altri spazi ed entità a noi prossimi in altre città, per sviluppare insieme la discussione sul tema della sostenibilità. Vorremmo consolidare questa tipologia di approccio e di visione inserendo Venezia e il nostro spazio in una rete di scambio e di confronto permanente. L’altro progetto di rilievo che ci vede qui coinvolti è la nuova Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, nella quale siamo entrati come soci fondatori, che avrà sede a partire dal 2023 proprio nelle Procuratie Vecchie, al secondo piano. L’idea è di aprirci al mondo, portando, come è doveroso che sia, anche Venezia alla ribalta internazionale su questi temi, cooperando a tal fine con tutti gli altri attori della Piazza, con i Giardini Reali e Venice Gardens Foundation, con Fondazione Cini e in generale con chi sia aperto e interessato al confronto libero su questi stessi temi.
Di famiglia internazionale, studi orientali ad Oxford, una passione mai sopita per la lingua e la cultura cinesi. Come questo studio e questa passione hanno influenzato il suo percorso lavorativo e come vengono da lei declinati oggi nella sua attività all’interno della Fondazione?
Mio padre è originario di Trieste, mia madre inglese; si sono conosciuti in Australia, a cavallo fra due mondi, e da qui nasce forse la mia curiosità per l’altro, per ciò che è lontano da me. Credo che la passione per la cultura e la lingua cinesi siano una conseguenza di questo; la voglia di conoscere, di sapere e di costruire relazioni tra culture è una propensione che ho sempre avuto dentro. Penso che da qui provenga anche inconsciamente l’idea di questa Fondazione che crea una rete di persone che aiutano altre persone, aperta alle collaborazioni, dove ognuno può contribuire in modo originale. In questo progetto ho potuto mettere insieme questo mio sentire personale con la cultura e l’identità del Gruppo, con la storia e la realtà di Generali.
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